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Uochi Toki – Malæducaty

2019 - Light Item
rap / elettronica

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Tracklist

1. Basta poesia!
2. Poesia quantica
3. Onigiri
4. Res Ort
5. Vegan* stammi vicin*
6. Stallo alla messican*
7. Innocuo
8. Le sigarette
9. Lingua memese
10. Fascia d’età
11. Cambia domanda
12. Revisionare l’amore
13. Fate il ladro fate l’estetica
14. Digei graff
15. L’archetipo dell’imballatile
16. Grazyae
17. La macchina del tempo libero


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Tornati da un’esplorazione nei territori delle arti grafiche, prima con la serie animata “Il Cartografo” – che l’intero team di produzione è stato così gentile da rendere disponibile su YouTube – la scorsa primavera con il fumetto sonorizzato “La Magia Raccontata Da Una Macchina”, i Uochi Toki aggiungono un nuovo capitolo alla loro ormai corposa discografia. Il duo più atipico della scena nostrana, con buona pace di Sly e Rula (questa è per intenditori ma del resto, anche i riferimenti al rap italiano nel disco lo sono), sforna la bellezza di 17 tracce ma rispetto alle uscite precedenti, opta per una durata piuttosto contenuta.

“L’ombra è fuori dal tempo ma mai fuori tempo massimo”, ci dicono andando a concludere l’opener Basta poesia!. Effettivamente è una splendida sintesi del loro percorso artistico. Ritroviamo Napo impegnato a declamare scritti in bilico tra il saggio (auto)analitico e il rap di protesta, con una cura lessicale estrema, infarcendo il tutto di riflessioni metalinguistiche e battute graffianti anche se raramente immediate. Tanti e tali sono i rimandi all’attualità, alla cultura popolare e a quella accademica, con giusto qualche traccia di autoreferenzialità, comunque sempre meno che in un disco di rap “canonico”, da rendere praticamente obbligatori svariati riascolti. L’altro 50% del gruppo Rico maneggia le macchine con la consueta dimestichezza, alternando batterie sghembe a incursioni nell’elettronica più astratta e/o rumorosa, campionamenti dai connotati mutati e mutanti e tentativi di raggiungere il “grado zero” della forma canzone (non è una critica).

Si potrebbe dire che in sostanza la coppia alessandrina, fa quello che ha sempre fatto. Vista l’assenza di concorrenti disposti a misurarsi sul medesimo campo di gioco, se ne deduce anche che siano i migliori a farlo. “Malæducaty” si (de)struttura come una sorta di “monologo esteriore”, nel quale il filo conduttore che lega ogni pezzo a quello che lo segue a volte è palese, altre richiede un minimo d’immaginazione. Il tono slitta continuamente dall’intento polemico all’ironia più genuina, senza mai scadere nel paternalismo o nell’indignazione retorica. L’aumento della labilità di una barriera tra vita reale e virtuale, il preoccupante successo nella diffusione di un modo di pensare per schieramenti contrapposti, la tendenza ad ingabbiarsi da soli in rigidi schemi precostituiti, la sconfortante mancanza di vitalità negli ambienti musicali, da parte sia degli autori che dei fruitori, sono solo alcune delle tematiche toccate in meno di cinquanta minuti densi di significati.

In virtù della sua compattezza, forse quest’ultimo lavoro è l’ideale per avvicinarli qualora non li si conoscesse. In questa occasione più che in altre, la voce del gruppo offre validi esempi per zittire chi è solito sminuirlo con uscite tipo: “Sì, scrive bene ma non ha flow”. Non ha molto senso parlare dei singoli brani in quanto come già accennato, il disco si snoda come un unico discorso informale, davanti al quale saltare un passaggio equivale a compromettere la comprensione generale.

Al di là di qualunque etichetta gli si voglia mettere e della personale condivisione delle tesi enunciate, rimane soprattutto qualcosa fatto da e per persone intelligenti.

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