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Danny Brown – uknowhatimsayin¿

2019 - Warp
hip-hop

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Tracklist

1. Change Up
2. Theme Song
3. Dirty Laundry
4. 3 Tearz feat Run The Jewels
5. Belly Of The Beast feat Obongjayar
6. Savage Nomad
7. Best Life
8. uknowwhatimsayin¿ feat Obongjayar
9. Negro Spiritual feat JPEGMAFIA
10. Shine feat Blood Orange
11. Combat


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Le decadi volgono al termine così rapidamente che la mente umana fatica a metabolizzare il passaggio da una all’altra. Non è raro si ricorra all’espressione: “Dieci anni fa…” quando in realtà, il proprio pensiero sta ritornando a diverso tempo prima. Nei momenti di passaggio come quello che ci attende a breve, ovvero dagli anni ’10 ai ’20 del 2000, si usa tirare somme, abbozzare bilanci, cercare di individuare gli elementi che più hanno caratterizzato il decennio appena trascorso differenziandolo da quelli che l’hanno preceduto. Naturalmente anche con la musica, la quale è sempre espressione della società in cui è prodotta e mai il contrario, è possibile avventurarsi in analoghe analisi.

Chi tirerà in ballo il me stesso quarantenne quando durante una delle sue consuete fumate al parco (sperando nel frattempo il limite di THC legalmente tollerato sia salito almeno al 3-4%…), verrà disturbato da ragazzini dotati di casse bluetooth sempre più potenti, asservite alla diffusione di brani sempre più insignificanti? Non è così facile trovare un filo conduttore che accomuni le produzioni rap degli ultimi dieci anni. Nel 1999 Puff Daddy aveva un peso e Mos Def ne aveva un altro, ma non era equivocabile il fatto che seppur declinato in due modi completamente diversi, il loro linguaggio fosse il medesimo. Oggi invece associare un nome a uno scenario, significa sempre fare arrabbiare qualcuno.

In tale contesto un artista come Danny Brown è quanto di meglio potesse capitare: fa tutto quello che vuole, lo fa bene e non sembra essersi mai preoccupato di rivolgersi a un pubblico in particolare. Eccentrico per natura e non per questioni promozionali, basti pensare che l’anno scorso ha affidato alla piattaforma per videogiocatori Twitch lo streaming di un suo EP di inediti. Nel frattempo ha fatto pervenire la notizia il successore dell’ottimo “Atrocity Exhibition”, avrebbe avuto Q-Tip degli A Tribe Called Quest come produttore esecutivo.

Non è mai prudente iniziare a sfregarsi le mani prima di avere sentito qualcosa, i precedenti in fatto di scarsi risultati a dispetto del coinvolgimento di nomi eccellenti si sprecano. Ma quando finalmente si è avuto modo di prestare orecchio a Dirty Laundry, le aspettative sono divenute legittimamente alte. Il caro vecchio Tip rispolvera il più classico dei boombap , dandogli però una forte connotazione videoludica, e il Nostro ci delizia con un racconto di perversioni sessuali dai risvolti tragicomici. Si occupa anche di Best Life, composizione estremamente musicale e dinamica imperniata attorno a un coro estrapolato da chissà quale polveroso 45 giri, e torna a flirtare col jazz sulla conclusiva (e splendida) Combat, su cui è chiaramente udibile anche la sua voce.

L’alchimia coi Run The Jewels già collaudata con successo sulla terza fatica del duo, torna a picchiare duro in 3Tears, musicata dall’idolo di Anthony Fantano JPEGMAFIA con uno stile insolitamente lineare. Ospite che ritroviamo praticamente a fare il verso a Anderson .Paak su Negro Spiritual, solcata dall’inconfondibile basso di Thundercat e diretta da un Flying Lotus a onor del vero piuttosto anonimo. Fortunatamente ci pensa il rap del padrone di casa a prendersi la scena: “Mr Microphone Magician makes a rapper disappear”, e c’è da dargli parecchio credito.

Fa particolarmente piacere constatare come l’intesa con Paul White, autore della maggior parte delle basi del precedente full lenght, non sia affatto venuta meno: quattro centri su quattro. Si tratti di fare dialogare sample, batterie suonate e synth, in fin dei conti il suo marchio di fabbrica, cambiare pesantemente i connotati al reggae o dare indicazioni ad altri strumentisti, il musicista inglese sa sempre come fare bella figura. Ottima anche la produzione di Savage Nomad a firma del misconosciuto Playa Haze.

Nonostante i contributi esterni siano numerosi e per lo più apprezzabili, l’attenzione non può che venire costantemente catalizzata dallo stesso Danny. Parla di droga e spaccio ma senza mai compiacersene, semmai rammaricandosene. Non mostra alcun timore nell’affrontare argomenti delicati come ansia e depressione eppure quando si autocelebra o descrive situazioni grottesche, da sempre suo campo semantico prediletto, il senso dell’umorismo sfocia spesso nel demenziale. Non si lascia imbrigliare da nessuna etichetta, non ripropone mai una formula senza modificarla almeno un po’. Non che ci fossero più dubbi circa la sua maestria nel costruire e interpretare versi ma trovare qualcuno con una vera visione artistica, in un ambiente che anno dopo anno sembra diventare sempre più sinistramente simile all’incarnazione del concetto di “bene o male, l’importante è che se ne parli”, costituisce una rinfrancante oasi di genuina creatività circondata da un desolante deserto di pochezza.

Dopo l’ascolto sistematico di musica altra emerso prepotentemente tra i solchi del precedente lavoro, un ritorno alle radici della black music, seppur mediato attraverso un gusto e una sensibilità difficilmente inquadrabili, ci stava tutto. Ecco cosa dirò ai ragazzini al parco tra dieci anni, ma pure domani se me li troverò davanti: “Ascoltate Danny Brown. Danny Brown spacca”.

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