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“Disco Volante” dei MR. BUNGLE e l’essenza del creare

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Nell’ottobre del 1995 avevo 18 anni e, per la maggior parte del tempo, frequentavo il Vinyl Storm, negozio indipendente di dischi e cd. Al Vinyl Storm potevi scoprire cose che ti aprivano gli occhi a mondi sconosciuti, una di queste scoperte sono stati i Faith No More, che sei mesi prima avevano fatto uscire “King For A Day, Fool For A Lifetime”. Questo disco mi aveva fatto capire che nel rock ci poteva stare un elemento a cui non avevo ancora dato importanza: l’ironia. Una marcia in più verso il toccare corde ancora vergini.

Un giorno di quello stesso mese, entrando nel negozio, il proprietario, il Dena, mi guarda con un sorriso beffardo, non mi saluta, non dice nulla se non : “Max, ascolta questo”. E mette su un cd dalla copertina surreale: una foto di un occhio con uno strano pesce mostruoso attorno. Sono rimasto quasi paralizzato per quasi tutta la durata di “Disco Volante” dei Mr. Bungle mentre il Dena ogni tanto penetrava nella mia attenzione con frasi del tipo: “ È Mike Patton alla voce” oppure “Trevor Dunn è un genio assoluto”. “Trey Spruance è il chitarrista di ‘King For A Day‘”.. e così via. Avevo tutte le informazioni che mi servivano e ovviamente comprai il cd.

 

In pochi seguirono quel mio entusiasmo per qualcosa di così “assurdo”. Il mio cd non ebbe molto successo nelle autoradio dei miei amici, perciò tenni l’entusiasmo per me e il mio stereo. Sapevo però che “Disco Volante” era la porta verso un continente sconosciuto, le Colonne d’Ercole verso l’inesplorato, il rompighiaccio del Capitano Shackleton, era toccare i limiti che erano ancora lì da toccare. Ora avevo l’aggancio a nomi quali John Zorn, Naked City e tutta la scena avanguardista d’oltre oceano grazie a Mike, che era il mio amico, il mio fratello maggiore coi dischi fighi ed il mio pass per un mondo di musica folle, sperimentale, assurda, ai limiti del concepibile, che può andare a prendere nel profondo, se lo si vuole.

Su “Disco Volante” sono stati scritti molti articoli e per la maggior parte sono parecchio esaustivi, parlano di “trionfo dell’assurdo”, “miracolo ai livelli di “Trout Mask Replica” e si lanciano nella descrizione minuziosa di ogni traccia. Qui, invece, voglio offrire uno spunto di riflessione, voglio porre domande e dare poche risposte. Credo sia il modo più sano di affrontare questo album e comunque voglio dargli un senso. Vorrei riflettere sulla matrice di quella particolare creatività. Ora, è vero che Patton, Dunn, Spruance, McKinnon sembravano usciti da un conservatorio di massima sicurezza, ma da dove vengono quei suoni? Da dove proviene quel genio? Per anni me lo sono domandato.

L’altro giorno, per mettermi d’impegno, stavo ascoltando “Disco Volante” nello smartphone, ero sdraiato su una roccia sotto il sole e mi è passato davanti un gabbiano. Mi è tornato in mente quando ero piccolo e un gabbiano come quello si era posato al di fuori del ristorante dove stavo mangiando con i miei genitori al mare e in sottofondo c’era “Sign O’The Times” di Prince. Ecco quindi che, tolti gli auricolari per una pausa, un momento di silenzio, cosa mi torna in mente se non Prince? Sto parlando di pensieri che vengono a galla ogni tanto, ricordi reconditi, momenti fatti di suoni, parole, frasi sotterrate dal tempo che periodicamente affiorano. Una parola sentita di sfuggita quando eravate piccoli, che so, un vecchietto che passava in bicicletta davanti al cortile della casa dove abitavate, il pianto di un amico che cade e si sbuccia un ginocchio, oppure un sogno, un incubo.

È di questo che è composto “Disco Volante”: di memoria involontaria, quella di Proust ne “La Ricerca del Tempo Perduto”. La memoria che è dentro di noi e che affiora azzerando il tempo. Perché ogni volta che sento un qualunque stralcio di quest’album mi sento trasalire, attratto da qualcosa di straordinario che accade dentro di me. Quei versi e quei suoni non nascondono semplicemente ricordi o sensazioni da trasformare in creatività, quei suoni sono dentro chi li suona, quelle melodie sono dentro a Patton, Dunn e agli altri, quelle sonorità sono loro. Non è niente di ragionato, non sono ricordi, quanto (perdonatemi, sto cercando le parole, non è facile) esercizi che servono a  svuotarsi per far uscire elementi più profondi e lontani nella memoria.

È quindi probabile che Chemical Marriage, Carry Stress In The Jaw e Violenza domestica e il resto di “Disco Volante” siano degli elementi perduti, come il “Tempo Perduto” era l’elemento su cui Proust voleva ricostruire una vita intera, i Mr. Bungle hanno costruito un’intera opera, e gli elementi non sono il frutto di una Ricerca, ma stanno a rappresentare la Ricerca che è in noi. Per questo credo che “Disco Volante” non sia un album che tutti dovrebbero ascoltare, ma che tutti, musicisti o no, dovrebbero fare, qualunque sia il risultato. Cercare? Di più: creare.

Adesso basta, vi ho sfiancati abbastanza ma spero di avervi fatto venir voglia di riscoprire questo capolavoro, io intanto vado in via Simone del Pozzo a sdraiarmi sugli scalini aspettando che un giorno riaprirà il Vinyl Storm.

Mr. Bungle

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