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DIIV – Deceiver

2019 - Captured Tracks
shoegaze

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Tracklist

1. Horsehead
2. Like Before You Were Born
3. Skin Game
4. Between Tides
5. Taker
6. For the Guilty
7. The Spark
8. Lorelei
9. Blankenship
10. Acheron


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Devono essere stati anni non facili gli ultimi per Zachary Cole Smith, deciso forse una volta per tutte a risolvere i problemi di dipendenza dalle droghe che si portava appresso fin dagli esordi dei suoi DIIV. Ed è inevitabile partire da qui nell’approcciarsi al terzo album “Deceiver”, chiamato a confermare l’ottimo “Is The Is Are”, uscito 3 anni or sono. 

Pur essendo resoconto personale dei guai di Smith, “Deceiver” è frutto di un lavoro corale, alla cui scrittura per la prima volta ha contribuito la band nella sua interezza. Scuro ed opprimente, il suono si fa più pesante, spazza via ogni reminiscenza del jangle degli esordi e si inserisce in quel filone di shoegaze nostalgico oberato di nomi dal valore altalenante, piantando bene i piedi negli anni ‘90 e zompando via senza troppi rimpianti dal decennio precedente. Ottimo il lavoro del produttore Sonny Diperri (My Bloody Valentine, Nine Inch Nails) nell’irrobustire le fondamenta di un impianto che forse ha preso qualche spunto dall’approccio nu-gaze dei Deafheaven, con i quali i DIIV non a caso hanno condiviso il palco in un lungo tour appena prima di buttarsi capofitto nella composizione di “Deceiver”. 

È un disco sulle scelte sbagliate, popolato di tanti spettri e tormenti del passato che si conficcano nel presente e colorano di grigio il futuro. Tutto ciò è sottolineato dai continui feedback, accessi di rumore che si fanno spazio a spallate in quell’universo melodico a cui la band rimane comunque sempre affezionata. Sta qui la forza di “Deceiver”, nel saper coniugare disagio e speranza in uno shoegaze nero, profondo e intransigente, che pur cambiando spesso tono e sapore lungo lo scorrere dei 10 brani in scaletta, suona sempre compatto e credibile. 

Tanti, come da copione gli aloni grunge (Skin Game, Horsehead), così come i rimandi ai My Bloody Valentine (For The Guilty) o ai Sonic Youth più genuinamente indie rock (Blankenship), ma i DIIV talvolta provano anche a sparigliare le carte in tavola, come nella profonda Taker, che nel suo incedere fiero sembra pagare il dazio di sorprendenti ascolti sludge, o negli strascichi lancinanti di Lorelei, una ballata lenta e funerea che precipita in uno strapiombo di feedback, forse il momento più toccante del disco. 

Sicuramente maturo e unitario, forse nel complesso “Deceiver” non è il lavoro più convincente della band newyorchese, ma è il più complesso e stratificato, e d’altronde “Is The Is Are” colpiva per la freschezza di una proposta non ancora inflazionata e portata ormai allo stremo. Quel che è comunque certo è che il terzo album dei DIIV è un racconto al tempo stesso intimo e collettivo, che ha nel dolore e nel tormento quel solo ed unico tratto universale che possa coinvolgere e accomunare tutti. E funziona.

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