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Back In Time

“Enter The Chicken”, ovvero tirare fuori il proverbiale coniglio dal secchiello

Da quando è balzato sul palco Brian Patrick Carroll si è trasformato in uno delle figure più curiose, originali, grottesche e singolari della scena del mondo musicale. Personaggio dalla spiccata fantasia, residente a Bucketheadland e con un potpourri di passioni, che vanno da Disneyland, ai robot, fino ai nunchaku e alla robot dance, questo personaggio si è fatto conoscere nel mondo come Buckethead: un secchio usato per il pollo fritto della catena KFC, una maschera bianca e in braccio sempre una chitarra, o quanto meno uno strumento con delle corde. Nella sua estrema originalità e riservatezza, ha sempre rilasciato poche interviste e, in quei rari casi, ha sempre parlato facendo da ventriloquo al suo amico Herbie, un pupazzo simile ad una testolina rattrappita. Ma la comunicazione di questo personaggio unico è affidata quasi esclusivamente alla sua musica: una produzione straordinaria di ben 306 album solisti, più partecipazioni e collaborazioni con gruppi della portata di Primus e Guns N’ Roses, fanno di Buckethead uno degli artisti più prolifici del pianeta.

Conobbi questo artista per puro caso: avendo cominciato nella prima adolescenza a suonare la chitarra elettrica, veleggiavo su Youtube alla ricerca di tutti i master delle sei corde: da Hendrix, a Satriani, da Vai a Malmsteen, Van Halen e in seguito mi imbattei in Paul Gilbert. Fu proprio spulciando tra i suoi video che comparve, ad un certo punto, un riccio capellone con una maschera bianca un secchiello KFC con la scritta funeral in testa: …e questo da dove è uscito? Lo ascoltai, ricordo ancora che il primo brano fu Nottingham Lace: assurdo, magistralmente tecnico, ma allo stesso tempo originale e melodico, con bei riff e soprattutto assoli profondi e carichi di pathos. Di lì in poi, ascoltai quanto più possibile di questo artista rendendomi conto non solo delle sue rare capacità tecniche, ma anche della sua mastodontica capacità di spaziare e creare musica. Vidi anche che aveva collaborato con moltissimi artisti tra cui Serj Tankian, che oltre a collaborarci insieme, produsse anche il suo quattordicesimo album in studio, dalla cui uscita sono passati ad oggi ben quattrodici anni: “Enter The Chicken“. Capite bene che, da fan dei System, il binomio artistico era una cosa ghiotta da ascoltare.

Il disco esce con il nome di Buckethead & Friends, questo perché, oltre alla partecipazione del frontman dei SOAD, abbiamo anche quella di altri artisti che si danno il cambio nell’accompagnare un Brian Carrol in forma smagliante che spazia dal death metal, al jazz, al country-folk e all’ambient dando a questo disco dei connotati mutevoli, spiazzanti e di gran pregio. Inizialmente, con We Are One, troviamo all’opera il nostro uomo mascherato proprio in compagnia della voce di Tankian ed insieme creano un metal, con tinte alternative-doom, molto piacevole ed interessante: un perfetto abbraccio di stili di due grandi artisti. Non dimentichiamo che, come in tante avventure precedenti, la geniale Testa a Secchiello è affiancata, nella composizione delle tracce e al basso, dal poliedrico Dan Monti, un nome che per la musica ha assunto con il tempo un certo valore, soprattutto per quella metal.

Successivamente, è la voce di Efrem Schulz dei Death By Stereo che, in Botnus, accompagna il chitarrista multidimensionale percorrendo i viali di un surreale metalcore. E poi cambia tutto! Questo è il bello di questo disco: con Three Fingers dal metal passiamo a sonorità elettronic hip pop, insieme alla voce del rapper Saul Williams. Altro brano, altro genere: stavolta è una canzone melodica in cui Bucket arpeggia con la sua chitarra sulle voci angeliche della cantante etiope Gigi (Ejigayehu ‘Gigi’ Shibabaw) e dell’americana Maura Davis, dando vita a Running from the Light. Con la bellissima Coma entriamo in una melodia più mistica scandita, oltre che dagli arpeggi armonici del nostro guitarman, dalla voce di Azam Ali e dell’amico Serj: fusione di sonorità eteree ed orientaleggianti che “multisfaccettano” il suono di questo disco in modo eccezionale. Copione simile, ma meno mistico è quello di Waiting Hare con Shana Halligan e naturalmente Tankian a dare manforte.

Vi siete rilassati? Beh attenti, perché dalle dolci e magiche melodie delle tracce precedenti, irrompe Funbus: un selvaggio cazzotto di death metal che sfiora le sonorità brutal dei Cannibal Corpse, anche grazie alle voci stridenti e cavernose di Dirk Rogers e Keith Aazami dei Bad Acid Trip. Buckethead sfodera degli assoli a velocità ciclica che si cuciono alla perfezione sul brano, tanto che sembra di ascoltare una vera band death metal. Insomma, quando si ha la versatilità artistica di questo gigante riccioluto dalla faccia celata, puoi fare quello che vuoi con la musica. Non pensate che sia finita, perché insieme al massiccio vocione di Maximum Bob dei Deli Creeps, Mr Carrol tira fuori dal secchiello The Hand, riuscendo ad infilare perfino la voce soave del soprano Ani Maldjian per creare un connubio idilliaco tra metal e musica lirica.

Il gran finale è proprio la celeberrima Nottingham Lace, esattamente la prima canzone che ascoltai: su una base distorta e pesante, questo fenomenale chitarrista è in grado di sparare il suono della sua Gibson e farlo rimbalzare dove vuole ad una velocità incredibile, non tralasciando mai la melodia e pennellando assoli e riff da vero funambolo delle sei corde. Quella chitarra è come la chiave che apre Bucketheadland, un mondo fantastico, un lunapark, come il suo creatore ed unico abitante lo ha descritto. E allora, tutti sulla giostra per un altro giro, offre Buckethead!

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