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“Necroticism”: uno straordinario mostro di Frankenstein death metal

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Recentemente ho letto un libro che, in chiave leggera e ironica, ripercorre le tappe fondamentali dell’evoluzione dell’heavy metal. Si intitola “Metal o niente. Storia leggendaria dell’heavy metal” e l’ha scritto un certo Andrew O’Neill, eccentrico comico inglese appassionato di steampunk e crossdressing. In sé e per sé, il volume è abbastanza deludente: il desiderio di apparire simpatico a tutti i costi alla lunga infastidisce, così come irrita la superficialità con cui O’Neill demolisce i sottogeneri a lui sgraditi e boccia veri e propri mostri sacri del calibro di Megadeth, Testament e tanti altri.

Una delle poche cose interessanti cui fa riferimento riguarda il modo in cui il progredire e il diversificarsi del metal abbia seguito lo sviluppo del cinema horror degli ultimi cinquant’anni. L’immaginario ottocentesco e gotico delle pellicole realizzate dalla Hammer Film Productions si infiltrò prima nella psichedelia dei Coven per poi trovare terreno fertile nei testi e nei riff dei padri putativi del genere, i Black Sabbath. L’ascesa e il successo degli splatter, invece, lasciò un segno indelebile nelle piccole realtà underground attive tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, soprattutto (se non quasi esclusivamente) nell’ambito del death metal.

Ma quante analogie si possono individuare tra film tipo “Splatters – Gli schizzacervelli”, “The Toxic Avenger” e “La casa 2”, e un album come “Necroticism – Descanting the Insalubrious”? Poche, se non nessuna. Dal punto di vista cinematografico, morte e violenza sono rappresentate in maniera ridicola, assurda ed esilarante, in uno stile che recupera le caratteristiche della vecchissima slapstick comedy. L’approccio dei Carcass alla materia è invece decisamente più scientifico: l’intenzione non è quella di scioccare l’ascoltatore con la pura brutalità del messaggio, ma di affascinarlo e inorridirlo con la ricercatezza di un lessico degno di un incomprensibile manuale di anatomia.

La lingua della band di Liverpool è viva, aulica, originale e criptica. Gli spaventosi ringhi di Jeff Walker e il growl di Bill Steer la rendono ancor più oscura, ma non ne intaccano la forma. I testi di “Necroticism – Descanting the Insalubrious” pullulano di neologismi e termini desueti, probabilmente tirati fuori dai trattati di veterinaria del padre del batterista Ken Owen. E che dire del titolo del disco? La parola Necroticism non esiste in inglese, l’hanno inventata i Carcass. Si tratta di un composto aplologico – chiamato anche portmanteau – basato sull’accostamento di necrosis ed eroticism.

Una fusione tra necrosi ed erotismo in cui è sempre il primo elemento a prevalere: si va dai corpi utilizzati per rigenerare il terreno di un giardino descritti in Inpropagation ai puzzle di resti umani al centro del classicone Corporal Jigsore Quandary, passando infine per la totale assenza di empatia alla base di Symposium of Sickness. La morale di questa tremenda favola intrisa di umorismo nerissimo è solo una: la vita non vale nulla. L’uomo, neanche fosse un maiale, viene macellato e reimpiegato in innumerevoli soluzioni diverse. In Incarnated Solvent Abuse la carne viene trattata e trasformata in sostanza stupefacente da un tossicodipendente un po’ sopra le righe; in Pedigree Butchery, invece, diventa l’ingrediente segreto di un mangime per cani assai appetitoso. Uno schifo totale, per dirla in breve.

I Carcass però lo rendono intrigante grazie a un linguaggio incredibilmente colto – in mezzo a questo putridume affiora anche qualche espressione cara a William Shakespeare, tanto per intenderci – e a una musica che sfiora il sublime. Con “Necroticism – Descanting the Insalubrious” il death metal entrò nella sua fase iper-tecnica e progressive; e lo fece in un modo che, ancora oggi, sembra essere ineguagliabile.

Quasi tutti i brani in scaletta sfuggono a qualsiasi tipo di classificazione: sono talmente complessi e articolati da andare ben oltre la tradizionale forma canzone. Riff allucinanti, cambi di tempo improvvisi, brandelli di melodia, rigurgiti grindcore, tessiture chitarristiche sopraffine e succosissimi echi classicheggianti (andate a sentire la già citata Incarnated Solvent Abuse) vengono cuciti assieme come fossero frattaglie putrescenti e maleodoranti, abbandonate sul letto operatorio di un ospedale di quart’ordine. Un repellente e sgraziato mostro di Frankenstein che con i Carcass divenne un essere straordinario. C’è del metodo in questa follia.

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