Impatto Sonoro
Menu

Interviste

Intervista a JOHN NEWTON (John)

Ho conosciuto di persona John Henry Newton, cantante, batterista e autore dei testi per il duo londinese JOHN, il 22 novembre 2018 a Milano al loro concerto di spalla agli Idles, da allora ci siamo sempre tenuti in contatto come dei buoni amici di penna. Gli avevo promesso che non appena sarebbe uscito il loro nuovo album ci saremmo sentiti per una chiacchierata ed eccola qui.

Ciao John, ci siamo visti l’ultima volta quasi un anno fa, a Milano, quando avete fatto da spalla ai vostri amici IDLES, finendo il tour europeo con la data al Le Bataclan. Com’è andata quell’esperienza e com’è andato quest’anno?

Fantastico, aver avuto la possibilità di suonare per un pubblico così grande e proporre le nostre canzoni, abbiamo imparato molto da quell’esperienza, su come si mette insieme uno show e ad abituarci ad avere una folla grande che ci ascolta, poi suonare in un posto come il Bataclan così pieno di storia musicale e averne fatto parte è stato veramente affascinante. Certo, il pubblico era lì per gli Idles ma abbiamo guadagnato qualche fan anche noi.

E dopo quella data siete tornati a casa, com’è stato tornare a casa?

Ci siamo come risvegliati nella campagna un po’ spaesati ma a avevamo molto lavoro su cui concentrarci per il secondo album perciò ci siamo dati da fare!

L’avete registrato quest’anno?

È stato un po’ diverso rispetto al precedente, l’abbiamo registrato in tre sessioni differenti invece di una sola e ciò è stato positivo perché abbiamo avuto modo di prendere fiato e pensare a come migliorare la produzione mentre era in atto. È stato utile per costruire un album che è più complesso del primo

Infatti, rispetto a “God Speed In The National Limit” trovo “Out Here On The Fringes” ancora più ispirato, il che è sorprendente per un secondo album, mi vuoi parlare dell’ispirazione che c’è dietro alle canzoni?

Sì, siamo migliorati con la pratica: con i concerti e con la stesura, E, sai, abbiamo provato a spingere il tutto in direzioni differenti, infatti ci sono un paio di elementi diversi rispetto ad un suono tipico nostro, come per esempio Midnight Supermarket, che si trova verso la fine dell’album, parti un po più silenziose…cercato di creare nuovi spazi.”

Avete dei musicisti collaboratori in questo disco, come vi è venuta questa idea?

Durante il processo di creazione a volte ti accorgi che una determinata parte potrebbe aver bisogno o potrebbe funzionare meglio con qualcosa in più, che l’accompagni, per FT abbiamo cominciato a sentire che aveva bisogno di un sassofono e fortunatamente ci hanno indirizzato a un tizio che non poteva farlo ma che ci ha presentato. Harrington che è una fantastica musicista ed ha suonato con un sacco di altre band, molto dentro alla scena noise, sperimentale, abbiamo voluto che si esprimesse liberamente, le abbiamo chiesto come avrebbe risposto il suo strumento alla nostra musica e ha creato questo momento emozionante,poi il violino, sono molto contento anche di quel risultato perché spinge la nostra musica ad esplorare ambienti inediti per noi.

 Ho l’impressione che ascoltando “Out Here On The Fringes” i primi due brani siano la diretta conseguenza di “God Speed In The National Limit”, poi avanti nell’ascolto, le cose cominciano a  cambiare, la title track è la più cupa e lenta che avete fatto, e soprattutto nel lato b, da Dog Walker in poi, sembra di assistere ad una evoluzione crescente, come se foste più grandi, più profondi e più a fuoco, sbaglio?

Credo tu abbia capito, infatti le canzoni sono inserite abbastanza ordine cronologico: Future Thinker è la prima canzone che abbiamo scritto dopo il primo album e la prima che è stata registrata e Solid State è stata l’ultima. “Out Here On The Fringes” è una sorta di creatura cronologica, la testimonianza di come ci siamo evoluti in questo periodo di tempo. Non è un aspetto fondamentale ma mi piace questo processo di lavorazione”.

Qual è il significato del titolo “Out Here On The Fringes”?

”Fringes” [“bordi”, ndr] è qualcosa che sta al confine, come i confini di una città, oppure un personaggio marginale in uno spettacolo. Mi è piaciuto subito il titolo perché io e Johnny ci siamo spostati verso i confini di Londra; “God Speed” era molto dentro la città, perché Johnny e io vivevamo entrambi in città perciò i pezzi arrivavano da quello mentre quest’album è una conseguenza dell’esserci spostati più fuori e cerca di catturare quell’atmosfera, non in maniera diretta ma gli elementi che vediamo nel quotidiano hanno caratterizzato il processo creativo e alcune canzoni sono abbastanza critiche verso le gestioni degli elementi periferici della metropoli”.

E i testi quindi hanno anche un messaggio sociale o politico in qualche modo?

Mi piace scrivere di impressioni, dettagli che segnalano problemi sociali e politici più ampi, non sono il tipo che scrive grandi dichiarazioni politiche, mi piace trovare piccoli elementi ai confini delle città che sono evocativi di problemi più grandi con i quali siamo costretti ad affrontare.”

Tu sei un autore che, per la stesura dei testi, trova ispirazione da svariate fonti, tra cui la letteratura moderna, mi dicesti che leggi molto Italo Calvino, cosa che contrasta a mio avviso il tipo di musica che fate, trovi che questa tua ricerca arrivi al vostro pubblico?

La gente può leggerla come vuole, dal vivo difficilmente si capiscono testi, mi piace pensare che le persone possano scegliere se scoprire cosa c’è più in profondità oppure vivere l’energia dei concerti però mi chiedono i testi molto frequentemente e questo mi fa molto piacere!

Beh, qualcosa arriva anche dal vivo, non siete la punk band che canta “fuck the system”.

No, non sono interessato a quell’approccio, non credo sia una formula di successo per comunicare o narrare di questioni legate alla politica. Almeno per la nostra struttura sarebbe un approccio molto noioso. Devi lavorare con gli strumenti che hai altrimenti non ha senso.

Mi dicevi che il modo di comporre tuo e di Johnny era di chiudervi in sala prove, solo voi due e di creare musica sul momento, insieme. È tutt’ora così?

È stato più o meno così anche per questo album, anche se ci sono state delle differenze come nel pezzo Midnight Supermarket che sei discosta dal resto: è stato un bel momento perché io ho scritto giù il titolo e l’ho dato a Johnny che ha immaginato questa situazione, quota dimensione in cui ritrovi avvolto da strane luci al neon tornando a casa tardi in una sorta di condizione ansiosa, Johnny ha messo giù la parte di chitarra e abbiamo poi inserito delle registrazioni di ambiente per creare l’atmosfera. Questa è stato l’unico episodio differente altrimenti siamo noi due nella sala a tirare fuori energia, ci piace costruire energia e metterla su disco nel modo più puro possibile perché siamo essenzialmente una band dal vivo.

Johnny riesce a tirare fuori suoni molto potenti, si sente che è frutto di uno studio, per la tua voce possiamo dire la stessa cosa o ti è venuto sempre impulsivo cantare così?

Mah, prima di tutto quando abbiamo iniziato abbiamo deciso di avere del cantato nelle nostre canzoni e io ho iniziato con delle semplici ripetizioni di vocalizzi, andando avanti sono riuscito a creare linee vocali più complesse anche entrando in confidenza con la simultaneità di cantare e suonare la batteria, per il suono della voce è venuto dall’ascoltare tanti generi, capisci il tipo di volume e suono che deve riempire quindi questo studio mi ha portato a cantare in questo modo potente, mi piace pensare che ci sia stata un evoluzione, per esempio in Standard Hauntings spingo molto le mie possibilità, poi diciamo che sono stato influenzato da musicisti come alcuni hip hop che hanno a che fare molto con il ritmo o altri comunque rock, non è questione di gusti.

Al giorno d’oggi ho la sensazione molte volte quando ascolto una giovane band di sentire qualcosa di già sentito, di copiato e messo lì, quando ascolto i JOHN invece sento che c’è qualcosa di nuovo, di personale, nello stile e nella stesura dei pezzi.

Si, ci saranno sempre dei paragoni mi dicono che assomiglio a Lemmy o al tizio dei Killing Joke [Jaz Coleman, ndr], o altri meravigliosi accostamenti ma è questione di seguire l’impulso e sapere che cosa puoi fare. Tutti gli artisti si ispirano a qualcun altro e quello che viene fuori è una sorta di imbastardimento dato da varie ispirazioni per far venir fuori qualcosa di fresco.

Vengo spesso attratto dalle copertine dei dischi, le vostre mi hanno sempre colpito, mi vuoi parlare della copertina? Coda rappresenta?

Hahha! È molto interessante perché la grafica sula bandiera era il nostro “fine trasmissioni” in TV. Quando non c’era un palinsesto di 24 ore. Beh, come tutto il resto non volevo che fosse facilmente comprensibile ma è un’immagine molto nostalgica per qualcuno della mia età, o magari più vecchio.

Come me?

Sì, haha! Sai, tutti i pezzi alla fine sono riflessioni in bilico tra passato e futuro e usare un’immagine del passato nel presente simboleggia i nostro dilemma di avere a che fare con nuove tecnologie e quella grafica molto austera in mezzo ad un bosco simboleggia l’ossessione umana di organizzare qualunque cosa.

Avete appena concluso il tour promozionale per il disco, come l’avete vissuto?

Sì, abbiamo finito la parte in UK, è stato fantastico vedere sempre più gente venire agli show, molta gente che reagisce fisicamente alla musica, la maggior parte del tour è andato sold out quindi sono molto contento, continueremo verso la fine dell’anno. Come ti ho detto, siamo una live band quindi abbiamo senso se suoniamo dal vivo.

Piani per il 2020?

Siamo molto entusiasti per l’anno prossimo, suoneremo il più possibile, come non abbiamo fatto mai, includendo più posti possibile e i festival estivi,  avremo, se tutto va bene, un’estate molto impegnata!

Bene John, è stato un piacere, grazie per questa chiacchierata,

È stato un piacere mio sentirti di nuovo dopo tanto tempo, grazie a voi!

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati