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Cunts – Cunts

2019 - Ipecac Recordings
hardcore punk

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Tracklist

1. Ass To Grind
2. Dying To Hit
3. A Hero’s Welcome
4. Cholos On Acid
5. Seagulls
6. Cholos On PCP
7. Goin’ Out West
8. He’s A Lady
9. Supervised Visits
10. You Should See My Dad’s
11. Fail At Failure
12. Fuck You For Your Service
13. The Greater Good


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Arriva il momento del debutto per i Cunts, band nata appena un anno fa e composta da quattro veterani della scena hardcore californiana. Il cantante Matt Cronk, i chitarristi Michael Crain (già nei Dead Cross di Mike Patton e Dave Lombardo) e Sterling Riley, il bassista Keith Hendriksen e il batterista Kevin Avery firmano un lavoro che, se riuscirà a raccogliere abbastanza attenzione, sarà sicuramente destinato a far discutere. A partire dalla copertina, in cui campeggiano un Bafometto e un Gesù Cristo impegnati in un rapporto orale.

Già questo dovrebbe essere sufficiente per capire di avere di fronte dei tipi senza troppi peli sulla lingua. Ce lo confermano loro stessi nel comunicato stampa che accompagna l’uscita di questo disco: i Cunts non sono alla ricerca di fan, ma di sonorità il più possibile abrasive e violente. Il loro obiettivo principale è letteralmente quello di “realizzare un tributo e una colonna sonora all’imminente collasso della società”. Ci riescono? Beh, sì e no.

L’album è molto meno incendiario di quello che vorrebbe essere, ma non per questo è privo di mordente. Le bombe a mano non mancano di certo. Se Ass To Grind e Dying To Hit aprono le danze all’insegna di un punk rock ruvidissimo ma abbastanza tradizionale, il resto dell’opera si muove su binari costantemente diversi. Ed estremi, soprattutto.

Evitando ogni possibile contatto con la melodia, i Cunts si destreggiano tra mine al gusto grindcore (Cholos On Acid, Supervised Visits) e crust (Seagulls, He’s A Lady). E anche quando provano ad avvicinarsi al noise rock dei loro idoli The Jesus Lizard (The Greater Good, A Hero’s Welcome, la perfidamente “blueseggiante” Goin’ Out West), lo fanno sempre avendo ben in testa le coordinate di un hardcore assai contaminato. Alla base della ricetta vi sono garage, thrash e, naturalmente, i già citati grindcore e crust punk.

Il piatto è ricco e saporito, ma manca ancora qualcosa per soddisfare appieno le ambizioni di nichilismo e distruzione coltivate dai nostri. Più rumore, più caos, più sporcizia. La provocazione, per il momento, si concentra maggiormente sul lato “visivo” (la copertina, ça va sans dire). Vedremo come evolveranno in futuro; per il momento, considerando il fatto di trovarsi al cospetto di un semplice esordio, il giudizio non può che essere positivo.

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