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Sudan Archives – Athena

2019 - Stones Throw
avant-pop / soul / songwriting

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Tracklist

1. Did You Know
2. Confessions
3. Black Vivaldi Sonata
4. Down On Me
5. Ballet Of The Unhatched Twins I
6. Green Eyes
7. Iceland Moss
8. Coming Up
9. House Of Open Tuning II
10. lorious
11. Stuck
12. Limitless
13. Honey
14. Pelicans In The Summer


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E’ del primo novembre l’uscita di “Athena” per Sudan Archives, aka Brittney Parks, artista afroamericana nata a Cincinnati e poi, diciannovenne, involata alla volta di L. A., città dove risiede. Fu la mamma a darle tale soprannome “Sudan” e si può dirla figlia d’arte, poiché la madre si dilettava di funk e R&B, mentre il padre aveva dato avvio all’etichetta discografica LaFace Records.

Da bambina fu folgorata dal violino, visto suonare da una band irlandese che si esibiva danzando: associare quello strumento anche al ballo la segnò indelebilmente. Il papà, avendo due figlie gemelle, le instradò a formare, già adolescenti, un duo pop-rap, che non decollò, in quanto l’acerba Sudan era fin troppo discola e comunque non si ritrovava ancora in un progetto artistico. La sua educazione allo strumento è perlopiù da autodidatta, adattando la sua abilità violinistica ai canti della chiesa che frequentava. Successivamente, facendo il doppio lavoro in una fervente Los Angeles (cameriera in un ristorante vietnamita e cuoca di ciambelle per una dolciaria), si è potuta permettere di acquistare degni strumenti al fine di coltivare seriamente la passione, sino a quel momento amatoriale, per la musica. I primi esperimenti sono su iPad e servendosi di un vecchio laptop dove registrava i loop di violino e le percussioni di ogni genere, suonando gli oggetti più comuni e disparati, inviando tutto il materiale compiuto su SoundCloud, ma ricevendo poca attenzione.

Los Angeles è stata parte integrante della sua crescita artistica: locali, i famosi party-fucina del Low End Theory, negozi di dischi e buone conoscenze fatte via via, le hanno permesso, fortuna vuole, di entrare in contatto con il produttore, A&R e DJ Matthewdavid (si contano illustri collaborazioni con Sun Araw, Dog Bite, Serengeti), il quale si interessò al materiale low-fi messo a punto in home made da Sudan Moon – suo primo nome d’arte – lavorandoci poi su insieme e dando alla luce due Ep (“Sink” e “Sudan Archives”, entrambi del 2018) usciti però per il boss della Stones Throw Records, Peanut Butter Wolf (aka Chris Manak), dando il via, sulla lunga distanza, all’esordiente “Athena”, disco che l’ha lanciata verso lo stardom.

Preponderante nella sua formazione è l’etno-jazz e i libri del camerunese – artista, musicista, scrittore e giornalista – Francis Bebey, nonché del violinista sudanese Asim Gorashi. Le sue influenze e la sua curiosità corrono lungo i tanti canali disponibili per ricevere informazioni, fare ricerche in ambito storico-etnico e al contempo restare aggiornata sugli interessanti artisti ed i fenomeni musicali odierni – come pure l’essere diventata, e lo è attualmente, studentessa di musica presso il Pasadena City College. L’innovativa musica della cantautrice Sudan Archives è composta di base dall’uso del violino, suonato in modo originale, idealmente sulle orme stilistiche di Jimi, infatti talvolta è agganciato ad un wha pedal o ad un multi-effects pedal, a cui dare seguito alla personale linea percussiva e di basso, sul modello di una one-woman-band (impiegando sovente mani e piedi), coadiuvandosi anche con i samplers Ableton, Logic e GarageBand.

Coinvolta da ragazza nei tanti spostamenti familiari e nel cambio frequente di scuole e amicizie, Brittney ha dovuto subire molti mutamenti che ne hanno definito il carattere; cresciuta tra scuola, strada e TV, è sempre stata affascinata dalle donne forti, eroine quali Sailor Moon, Chun-Li e Xena la guerriera; o dee come Oshun e Mami Wata, ma mettendone in discussione i dogmi; ci dice a tal proposito: “Mi piace la filosofia che sta dietro alla messa in discussione delle radici delle cose”. Imbattendosi nel corso delle età pure in cliché moralisti, che l’hanno temprata ribelle e solitaria, rafforzandola intellettualmente.

La lettura di un libro in tre volumi, autore Martin Bernal, ‘Atena Nera‘ (1987), risulta uno degli spunti per mettere in discussione il mito di Athena e rilasciare alcune considerazioni motivazionali portanti del lavoro: dubbi instillati dal pensiero afrocentrico dell’opera (si sostiene l’apporto fondamentale della cultura fenicia e antica egizia come basilare e influente della cultura classica greca) in contrapposizione a quello eurocentrico.
L’afrofuturismo di Sudan Archives vive di sollecitazioni musicali vicine al folk e alla musica classica (tipicamente bianche), alla psichedelia, al Soul e al moderno R&B, ma mira ad affermare il black power che deriva dalla sua appartenenza alla etnia afroamericana. Tirare fuori l’anima nell’approntare i vari dischi ha consentito all’artista di mostrarsi nuda, senza veli, come appare nella copertina, statuaria, bellissima e sensuale dea nera, la cui comunicatività, ed acume, è stata dischiusa dal contatto professionale con i numerosi addetti ai lavori che l’hanno obbligata, salutare gioco forza, ad andare dritto al punto lasciando libera la creatività e l’espressione.

14 frecce avvelenate per l’arco di violino della Parks. Did You Know? scandisce il pizzicato ritmico del violino, una traccia che parla dell’adolescenza di Brittney e di quanto il problema dei capelli per le ragazze nere ha una sua rilevanza nell’apparire e nell’adeguarsi (servilmente) al mondo dei bianchi stirandoli. Pezzo giovanile remixato, di estremo valore. Confession mette in mostra le sviolinate etno e l’arrangiamento sublime posto tra le compressioni esplosive di basso di Matthew David e la melodia. Black Vivaldi Sonata, meravigliosa, come del resto tutte le canzoni, ha un corpo denso e fumoso, nasce da un verso della Bibbia che parla di angeli e demoni, di percezione del male e del bene: una grande energia che scaturisce da tali simboli.

Ancora il violino e la sensualissima voce in bel primo piano, dal vago sapore indiano. Down On Me segna un passo più deciso e comprensivo, quasi dispiaciuto e intriso di una dolcezza frutto dell’abbandono; il testo riguarda una storia particolare: feticismi accollati alla sua persona, da eliminare. Green Eyes, Iceland Moss, e Coming Up parlano in modo più esplicito di sesso, ma velato dalla dolcezza e dai suoni del synth, quanto dalla suadente voce di Sudan.
Glorious si avvale del rapper D-Eight, e appare in alcuni episodi anche l’artista hip-hop Retro (Andre Starkey) a garanzia dell’ottimo team che le gira attorno. Un paio di interludi segnano una metonimia stravinskiana, ma valgono quanto un sorbetto ad un banchetto. Infine, le va ascritto anche l’impiego del mandolino elettrico.

Non v’è che dire, un album da apprezzare in ogni sua piccola porzione, per scoprire un’artista magnetica, eclettica, da non trascurare ed ascoltare con la dovuta attenzione, subendo il fascino a tutto tondo, di lei, la divinità Sudan di cui si potrebbe parlare per ore impollinandosi apertamente della sua geniale super-musica.

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