Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Blood Incantation – Hidden History Of The Human Race

2019 - Century Media
atmospheric death metal

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Slave Species Of The Gods
2. The Giza Power Plant
3. Inner Paths (To Outer Space)
4. Awakening From The Dream Of Existence To The Multidimensional Nature Of Our Reality (Mirror Of The Soul)


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Si sta facendo un gran parlare di questo “Hidden History Of The Human Race”, secondo album degli statunitensi Blood Incantation. La critica è concorde: il quartetto di Denver, sulle scene da neanche dieci anni, ha le carte in regola per lasciare un segno importante all’interno dell’universo death metal moderno. Senza cader preda di facili entusiasmi o inutili sensazionalismi, c’è da riconoscere l’effettivo valore complessivo del disco.

A partire dalla splendida copertina, che la band ha preso in prestito da una delle tante edizioni di “Space, Time and Nathaniel”, una raccolta di racconti dello scrittore britannico Brian Aldiss. Il disegno, realizzato dallo stimato illustratore Bruce Pennington, rappresenta alla perfezione la natura “aliena” della musica proposta dai Blood Incantation.

Tra le pieghe di un death metal lercio e meravigliosamente old school – soprattutto per quanto riguarda la resa sonora, caotica e violenta come quella dei classici del passato – è possibile trovare elementi decisamente insoliti per il genere. Che sia stato l’influsso di una civiltà extraterrestre a convincere i nostri a dare un’enorme rilevanza al coefficiente atmosferico dell’opera? Qualcosa mi dice che non lo sapremo mai.

Sta di fatto che, tra pesanti sfumature psichedeliche e improvvisi passaggi ambient, il gruppo tende a esaltarsi proprio quando prova a scompigliare le carte in tavola; a stupire l’ascoltatore con suggestivi effetti speciali che definirei quasi artigianali, considerando il fatto che ci troviamo ad anni luce di distanza da un certo tipo di death metal tanto in voga al giorno d’oggi, caratterizzato da iperproduzioni artificiali e sterili. Le quattro tracce di “Hidden History Of The Human Race” provengono da un mondo estraneo ma vivo, ricco di fantasie e colori diversi.

È un pianeta in perenne movimento quello in cui abitano i Blood Incantation, che ruota attorno alle stelle di giganti quali Death, Morbid Angel e Obituary ma non disdegna frequentissime fughe dall’orbita. L’attacco furioso di Slave Species Of The Gods dà il via a un viaggio che parte sì benissimo, ma tutto sommato all’insegna della tradizione. Le ritmiche serratissime, i bruschi cambi di tempo e i curatissimi intrecci melodici delle chitarre accompagnano alla perfezione il brutale growl ultra-effettato di Paul Riedl, la cui voce sembra emergere dalle viscere di un inferno fantascientifico.

Con The Giza Power Plant veniamo improvvisamente catapultati in una dimensione alternativa. Due minuti dopo l’avvio, assistiamo a un repentino rallentamento che ci scaraventa negli abissi senza luce di un doom dal forte “sapor mediorientale”, come direbbe Gianna Nannini. Avete presente i Nile? Bene, se decidessero di lasciar perdere l’Antico Egitto per cominciare a narrare le vicende degli eroi dell’Abydos di “stargateiana” memoria, probabilmente suonerebbero qualcosa di simile a questo pezzo.

Con il suo incedere psichedelico e pieno di pathos, la semi-strumentale Inner Paths (To Outer Space) fa da ponte ideale tra il fascino ipnotico del drone, la carica cervellotica di un prog metal alla Gojira e la pura devastazione sonora, resa ancor più incisiva dall’urlo animalesco e disumano con cui il buon Riedl chiude i giochi. Con gli intensissimi ed epici diciotto minuti di Awakening From The Dream Of Existence To The Multidimensional Nature Of Our Reality (Mirror Of The Soul), i Blood Incantation raggiungono il momento clou di questa loro avvincente missione intergalattica.

Le battute iniziali servono a scaldare i motori, che vengono letteralmente presi a mazzate con colpi di mostruosa perizia. Al termine di una placida e sintetica parentesi ambient, nella quale appare persino una linea di sequencer simile a quella di On The Run dei Pink Floyd, si riviene travolti da un’ondata di death metal ipertecnico e progressivo, con frequentissime incursioni in territori thrash e black (vedi il forsennato blast beat del batterista Isaac Faulk). Gli ultimi passaggi del brano, soprattutto nelle sue fasi più articolate, sono caratterizzati dall’evidentissima influenza del compianto genio di Chuck Schuldiner, il cui spettro aleggia indisturbato fino a una chiusura semi-acustica che, senza riuscirci, prova un po’ a fare il verso alla sublime Voice Of The Soul.

Insomma, ormai lo avrete capito: di carne al fuoco ce n’è davvero tanta. Forse anche troppa, a essere sinceri: alcuni frangenti mancano di coesione; altri di personalità. Ma importa molto poco, perché questo “Hidden History Of The Human Race” è proprio un bel disco. Per una volta, l’hype è più che giustificato.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni