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Kirk Barley – Landscapes

2019 - 33-33
ambient / field recordings

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Tracklist

SIDE A
1. Bathe Pt 2
2. Trickle
3. Temples
4. Bathe Pt 3
5. Ark
 
SIDE B
6. Drift
7. Breathe (Paseo)
8. Water Wheel
9. Island
10. Bleached
11. Cradle

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Una piccola raccolta di Haiku sonori, un disco che non è un Long Playing (34 minuti, più o meno), 11 paesaggi apparentemente deserti ma che si popolano di suoni ai limiti dell’indigenza (per essenzialità), chitarre, piccoli synth apolidi. Questa è la premessa di questo splendido lavoro di Kirk Barley.

La struttura: non c’è, si parla di loop, di frammenti, che ci scorrono davanti agli occhi come istantanee, diapositive trovate dentro una scatola di una soffitta di chissà quale casa. Un disco che, come dicevo, non è, è un assemblaggio libero (da improvvisazioni, a sovraincisioni percussive ad hoc a cura di Matt Davies). Libero come il free jazz a cui si ispira e ampio come i paesaggi sonori scolpiti, come “nature morte in movimento”. C’è davvero poco da dire su questo disco, per il semplice fatto che il disco già dice tutto quello che c’è da dire (e ripeto, potrebbe anche essere niente, IL niente, il vuoto, la pace, ciò che forse non può essere proferito): “come lo sguardo che coglie tutti i dettagli de una totalità in un sol colpo”.

Landscapes” riprende una lunga tradizione-ponte musicale che trasla da Yoshimura (che appunto, scrisse le sue celebri “postcards”, molto vicine semanticamente ai “landscapes” e anche stilisticamente, nella ricerca di questa essenzialità) a Jon Hassell che ha sempre generato i connubi di acustico ed elettronico (non parliamo tanto del Jon Hassell attuale quanto piuttosto del Jon Hassell di opere precedenti, di quei lunghi flussi esotici che generavano escapismo e mistica), ma, come dicevo, ci sono dei piccoli cortocircuiti che rendono queste istantanee, delle vere e proprie ninne nanne (e qui si dovrebbe anche trovare l’immaginario di etichette come la 12K, in cui il nastro è una pista su cui tracciare lo scorrere dei fenomeni). Uno stato onirico, ma ancora di più, di surrealtà, di dormiveglia a mezza via tra coscienza e sonno che ci lascia sospesi, mentre fluttuiamo come gli uccelli in copertina, quasi avvolti dalla nebbia, con l’orizzonte sempre più lontano che ha ancora da venire, un orizzonte che unisce l’oriente e l’occidente (il tubo di bamboo all’interno di Water Wheel; l’effetto gamelan di Ark su tutti).

Il mondo non è mai sembrato così piccolo e al contempo così prezioso, come lo può essere un diamante che, nonostante le misure ridotte, irradia luce indefinita nei tempi più bui.

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