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Gorevent – Fate

2020 - Comatose Music
brutal death metal / slam

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Tracklist

1. Confront
2. Justice
3. Keep It Tightening
4. Swell
5. Energies
6. Round 13
7. Fate
8. Day to Head


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Non immaginiamo un bel niente. Semplicemente volevo parlare di un’uscita metallica e ho bloccato “Fate” nei miei auricolari; non sono un fedele del Brutal Death Metal, ma gradisco cambiare panorami musicali, mettiamoci pure che abbisognavo di una massiccia dose di forza tellurica per riequilibrare il mio piatto spirituale, e dunque mi sono detto – Dai Bob, assaggia codesto reboante corpus diaboli tra i tanti usciti ‘sto mese e vediamo se mantiene quanto promesso dal bugiardino interno – e poi l’ho pure fatto: eh, la dura vita del recensore…

Il gusto Gorevent sbatte in bocca un sapore granitico, tutto d’un pezzo, lasciando poco spazio a quell’immaginazione che genera costrutto variegato e geniale, ma, come si dice, talvolta occorre andare al sodo e se ti serve moneta battente ultra-sonante, ebbene, eccoti la solida moneta battente ultra-sonante!

Fate” dei Gorevent rappresenta più o meno questa filosofia, diretta, asciutta, mancante di inutili fronzoli; in tal sede si sfrollina, salda, sbullona; si forgia e si tritura ferro; manco fossimo all’apice del frastuono da fabbrica metallurgica, rimanendo piuttosto in area ‘officina delle atrocità.

Infatti, il fragore diffuso dal disco non è neppure troppo deflagrante, piuttosto è secco in canna e determinato il colpo: una smitragliata di riffs che funziona oltremodo bene se vuoi sbrindellare un obiettivo quasi al rallenty, ricordando quale extra, e in tutta coscienza, che dal tuo viso sparirà ogni espressione o smorfia di parvenza umana. Zero ammiccamenti, né alzate di sopracciglio alla Clint Eastwood. I corrugamenti del frontespizio forieri di pensieri animati, le intelligenti variazioni binoculari e gli sbavamenti labiali di istintive bramosie – bene, mettiamoci il cuore in pace – saranno tutti dissolti!

Coattivamente la faccia dell’ascoltatore resterà fissa, tirata, muta, imperscrutabile, glaciale, mascellare e incomunicativamente meccanica, come quella del robot-pistolero Brinner in Westworld (Il Mondo dei Robot di Crichton), oppure diventerà cyborgotica, uguale a quella che aveva Schwarzenegger in Terminator, ricordate? (“No hay problema!”).

La copertina è mirabile in tal senso. Escludendo la testa dal corpo (tagliamo la testa al toro!), si fotografa la statua di un soggetto priva di braccia, con sulla schiena la spunta disgorged di ampie ali pipistrellose; la figura è prostrata in avanti ad un’invisibile mannaia, che è evidentemente calata su di essa, mentre accanto alle ginocchia, poggianti su di una cunetta terrosa composta da foglie e detriti, vi sono ammucchiati alcuni teschi di umani già decapitati molto tempo prima. Dietro questa terribile immagine notturna, ombreggiata di blu elettrico ed illuminata a gorgiera dall’alto, si scorge un imponente edificio goticissimo, forse una cattedrale che delimita assoluto il no compromise in stile ‘Kafka suffocation building constructions’, ossia il possibile potente palazzo-dedalo ove regnano inquietanti eminenze grigie decretanti macabre sentenze…Di sicuro i due macro simboli non lasciano indifferenti, per Giove maledetto detto Il Mesmerico!

Da circa 3 lustri i Gorevent calcano la scena BDM in chiave Slam, sebbene con recenti cambi in organico. Nel 2008 il primo e acclamato full-lenght ‘Abnormal Exaggeration‘, ponendone poi sulla fumosa griglia di partenza altri quattro e dispiegando al contempo numerosi demo, split ed EP.

I 25 minutini di questo piccolo breve standout trasudano orrore gutturale e ritmica tensiva a medio voltaggio, esito di enormi valvole catodiche generanti elettricità. Identicamente la scansione a sei corde, che attinge dal classico trash, vicina ai riffs di Slayer/Testament, conia una distinguibile ritmica circa ¼ più lenta in speed di quella a cui si ispira ed innervata da grevi accordature – ovvio che la cifra stilistica del confronto è differente, ma ne fornisce l’idea – cui la batteria, coi suoi intermittenti blast a varia lunghezza, e le toccate di rullante a supporto, è causa di neurotonici susussulti marcanti stretti il breakdown basso-chitarra.

La pioggia metallica è incessante, efficacemente protesa in avanti la terrifica marcia, spintonando e travolgendo ogni ostacolo presente sul percorso dell’infernale marchingegno anfibio Gorevent, come se ci fosse un ubriaco lesso al timone di una portaerei in procinto animalesco di sbarellare ogni natante nei paraggi del suo solcare mastodontico e distruttivo; il che riporta alla mente la tecnica di caccia della vorace orca assassina: assedio schiacciante per sfinimento della vittima prescelta.

Un chiaro primitivismo affiora e fa parte della regressione sonica messa in atto da un po’ di tempo dalla band, segnando una deviazione di carattere rispetto alle prime prove discografiche, fuoriuscendone ora fermamente pesante e monolitica. Il fenomeno urterebbe però contro i dettami del genere BDMS, addetto ad anteporre ritmiche da ‘cuore in gola’, dove la sorpresa e la violenza musicale sono il pane quotidiano per il fruire di sensazioni estreme!

Swell appare il pezzo più ‘estroverso e variopinto’, quasi un eufemismo. Le variazioni di basso e chitarra allungano uno spiraglio contro la primordiale forza brutale di questo ingranaggio fuori controllo; il nocciolo nucleare ha preso l’infuocato via ed è ormai impossibile da sedare. Energies gioca su due velocità acuendo l’aggressione ed incarnando il mostro inarrestabile che tutto fagocita, prendendo anche la giusta pausa di relax per digerirlo. Nei suoi 03′:13” la track ha inside la potenza descrittiva adattabile ad una feroce specifica sequenza da horror short-movie. La seguente Round 13 replica più spietata ed asfittica, propensa doviziosa alla sevizia. Day To Head falcidia con metodo, forse il pezzo più slam del disco.

Ormai il suono è delineato e non si può fuggire dalla spirale montata dai 4 strumentisti giapponesi (Gokucho – Vocals # Suguru – Guitar # Kasahara – Guitar # Takasick – Bass # Metadon – Session Drums) i quali si confermano fatali alfieri della regressione primigenia, posizionando il brano Fate quale apocalittica apoteosi della selvaggia maledizione che casca su ipotetici noi altri, tumefatti umani abrasi e deumanizzati dal post nucleare.

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