1. One more year
2. Instant destiny
3. Borderline
4. Posthumous forgiveness
5. Breathe deeper
6. Tomorrow’s dust
7. On track
8. Lost in yesterday
9. Is it true
10. It might be time
11. Glimmer
12. One more hour
Dove eravamo rimasti, Mr Kevin Parker? A cinque anni di distanza da “Currents”, i Tame Impala escono con un nuovo long di inediti dal titolo “The Slow Rush”, ma la storia recente del progetto musicale portato avanti dal polistrumentista di Perth è tutt’altro che vuota.
Partiamo dalla cronaca di ciò che è accaduto nel 2019. Sul finire di marzo esce Patience, presentata al Saturday Night Live insieme a Borderline, poi tanti concerti e un ritardo nella lavorazione del disco, giustificato dallo stesso Parker con un lapidario “non c’è fretta”. Ad un certo punto non era ben chiaro se le due nuove produzioni avrebbero fatto parte del nuovo disco, infatti Patience alla fine verrà esclusa dalla tracklist. Dopo l’estate ecco l’annuncio dell’uscita di “The Slow Rush”, direttamente con un video sul profilo Instagram del gruppo. Dopodiché vengono alla luce altri due singoli: It might be time e Posthumous forgiveness.
Negli anni, Parker ha stupito tutti – pubblico e critica – in diversi modi. Venuto fuori dal nulla, ha concepito due album come “Innerspeaker” (2010) e “Lonerism” (2012), annoverati dagli appassionati di psichedelia tra i migliori lavori del decennio. E in effetti il buon Kevin, in quel periodo, non se l’è lasciato ripetere due volte, chiamando il suo collega Wayne Coyne dei Flaming Lips al fine di concepire un disco “reciproco”, “Peace and paranoia” (2013), dove ognuno ha reinterpretato i successi dell’altro.
Poi la vera svolta recente del progetto musicale australiano: Kevin Parker ha modo di conoscere Mark Ronson, più o meno nello stesso periodo in cui smette di subire il fascino (musicale e sentimentale) di Melody Prochet. Da lì il suo concetto di musica subisce una sterzata decisa verso sonorità diverse, per certi versi agli antipodi rispetto alla “sua” psichedelia. Nel 2015 esce così “Currents”, che presenta variazioni nette ed evidenti rispetto alla precedente produzione: vengono quasi del tutto accantonate le chitarre a beneficio di sintetizzatori di ogni ordine e grado, la batteria è spesso sostituita da beat costruiti al computer e la voce di Parker è più asciutta.
Con “Currents” i Tame Impala imboccano senza indugi la strada del synth pop, un calderone nel quale finiscono soul, funk, r’n’b e (decisamente) meno psichedelia. Per dirla meglio, la psichedelia è un elemento, ma non più rilevante degli altri.
Su questa falsariga si muove “The Slow Rush”, un disco che in comune con i primi lavori dei Tame Impala ha soltanto il fatto di muoversi lungo un orizzonte temporale ben preciso: se nei piccoli capolavori psych di inizio carriera l’imperativo era riscoprire in chiave moderna le primordiali atmosfere lisergiche provenienti dagli anni sessanta, “The Slow Rush” fa un balzo in avanti di trent’anni.
L’anima danzereccia e discotecara di Kevin Parker – che ai tempi di “Lonerism” si lamentava perché ai suoi concerti non ballava nessuno – prende il sopravvento e regala spezzoni diversi di dance revival, annuendo mestamente che, sì, da qualche settimana gli anni novanta sono già passati da trenta. Non inganni Tomorrow’s dust, che insieme all’esclusa Patience è un richiamo alla slow-disco anni ’70, un po’ Earth Wind and Fire, un po’ Isaac Hayes, con tanto di batteria avvolgente e percussioni in appoggio.
Già Borderline, il secondo nuovo brano ma di fatto primo singolo, è tutto uno scorrere di pure dancefloor alla Jamiroquai, ma con tastiere meno ossessive. Stesso discorso valga per Breathe deeper e la trascurabile Glimmer, anche se in questi ultimi due casi le atmosfere sono leggermente più rilassate. La malinconica Lost in yesterday, altro singolo, sembra invece maggiormente studiata per i passaggi radiofonici: musicalmente profuma di moderno pop mainstream, il video mostra cicliche immagini del tempo che scorre, diapositive viste dalla prospettiva di una sala in cui si svolgono cerimonie.
Nella sequenza di uscita in commercio dei brani potrebbe essere nascosta una chiave di lettura: Parker vuole mettere in musica tutta la sua passione per la musica da ballo dagli anni ’90 in poi, ma non dimentica il punto da cui tutto è partito. Dalla disco-funk all’elettronica (It might be time e la più disimpegnata One more year), il passo non è così breve, ma doveroso. Qui l’ispirazione è presa da artisti col tempo diventati iconici, ad esempio Chemical Brothers e Fatboy Slim: roba da rave party, insomma, più che da club prive. Sulla stessa lunghezza d’onda si muove Is it true, ma qui c’è tanto dei primi Daft Punk, quelli di Homework per intendersi.
Non mancano le ballad (Posthumous forgiveness e Instant destiny), tranquille e dalle atmosfere ovattate, sospese a metà tra il raffinato songwriting di un George Michael d’annata – a proposito: Older è un disco assolutamente da rispolverare – e il trip hop Massive Attack style. Qualche nostalgico strascico di psichedelia è ancora udibile in One more hour e On track, due pezzi che nei primi due dischi dei Tame Impala avrebbero trovato sicuramente posto, se solo ci fosse stata una sostanziosa chitarra al posto della tastiera (o piano) martellante alla Rick Davies dei Supertramp.
In definitiva, rispetto a “Currents”, “The Slow Rush” rappresenta un passo avanti nella carriera dei Kevin Parker, un pezzo di strada percorsa in modo deciso e con un risultato maggiormente convincente rispetto al suo predecessore. A maggior ragione, si pensi al fatto che questo è di fatto un disco solista, visto che il polistrumentista australiano scrive, suona, interpreta e produce l’intero lavoro.
Tuttavia, è ovvia l’impossibilità di mettere tutti d’accordo. Già ai tempi della svolta synth, molti fan del precedente periodo artistico rimasero perplessi, mentre tra gli altri c’era chi si augurava che “Currents” sarebbe stato solo un momento di transizione. Dal canto suo, Parker ha più volte ribadito di voler compiere un percorso artistico all’insegna della varietà e della conoscenza di nuove sonorità: da questa angolazione, il consolidamento di “The Slow Rush” ne è la rappresentazione vivente.
Un ulteriore elemento che chiarisce il nuovo corso dei Tame Impala risiede nel fatto che Kevin Parker ha in qualche modo ricambiato il favore a Mark Ronson per l’ispirazione ricevuta, collaborando alla scrittura di Find u again – per la voce di Camila Cabello, non esattamente la candidata numero uno a duettare con il suddetto Wayne Coyne – inserita nell’album “Late night feelings”.
E’ altrettanto ovvio che tra il pop in forma psichedelica ed elettronica o dance non esiste un meglio o un peggio, con buona pace degli estimatori dell’uno e dell’altro genere. Parliamo semplicemente di espressioni diverse. Come diceva qualche anno fa un discreto cantautore romano: nessuno si senta offeso.