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Don Karate – Don Karate

2020 - Original Cultures
post-rock / experimental

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Tracklist

1. Ice age
2. I wish
3. Planeta
4. YSC
5. La classe
6. African snow
7. Tea 4D.K.
8. Epilogo


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C’è una sola parola per definire quanto di bello produce e ha da dire Stefano Tamborrino: sorprendente. Il concetto di base è molto semplice: Stefano non ama classificarsi e classificare in generi la musica che compone, così ha preso uno sparuto gruppetto di musicisti che la pensa esattamente come lui e tutti insieme hanno iniziato a comporre e suonare. Ma facciamo un passo indietro.

Alle orecchie degli appassionati di jazz il nome di Stefano Tamborrino non è affatto nuovo: è un batterista molto richiesto, anche in ambito internazionale. Al suo attivo ha – senza esagerare – un centinaio di collaborazioni con artisti dal variegato background: Area, Bollani, Hobby Horse solo per citare i più noti al grande pubblico. 

Nel 2019 ha pubblicato “I dance to the silence”, il suo primo lavoro da solista con lo pseudonimo Don Karate, e qui un passaggio sulla scelta del moniker è obbligatorio. In una notte insonne, a Stefano viene in mente una storia il cui protagonista è un militare americano prigioniero in Vietnam. Nel periodo di detenzione impara le arti marziali ma, una volta libero, al suo ritorno a casa non viene riconosciuto dai familiari. Solo e disperso, gli appare Dio che gli chiede di portare la sua parola attraverso le tecniche imparate: è così che il soldato diventa prete e compie miracoli con le mosse di karate.   

Già ascoltando “I dance to the silence” viene da essere d’accordo con Stefano: il disco sfugge completamente a qualsiasi classificazione. Al suo interno si ascoltano chiaramente elementi jazz (e ci mancherebbe!), ambient, chillout e noise. C’è più di una fuga verso la musica concreta e non mancano accenti di classica contemporanea. Pezzi che solo ad elencarli si fa fatica ad immaginare come sia possibile una loro coesistenza all’interno di un unico calderone. Tuttavia, il magma che bolle non deve per forza essere mescolato: è bello così, nel suo essere stratificato in parti sovrapposte.

Vale la pena sottolineare che “I dance to the silence” è suonato interamente da Stefano, che si è avvalso della collaborazione in fase di registrazione e produzione di gente del calibro di Francesco Morini, Dan Kinzelman (Hobby Horse), Francesco Ponticelli (sul quale torneremo tra poco), Renato Cantini (che vanta collaborazioni con Enrico Rava e Paolo Fresu) e Martino Lega, che ha collaborato alla produzione di Pedate, disco d’esordio dei Sex Pizzul.

Il secondo lavoro di Stefano (pubblicato dall’etichetta indipendente Original Cultures) è l’omonimo – si fa per dire – “Don Karate”, un disco che riprende in modo vigoroso il discorso iniziato con l’esordio. Stavolta i musicisti ci sono, circostanza che già dai primi minuti d’ascolto lo rende un lavoro nel complesso più corposo e articolato.

Al contrabbasso c’è Francesco Ponticelli, enfant prodige che a soli 22 anni è stato scelto da Enrico Rava per unirsi ai New Generation, mentre da qualche anno ha preso l’iniziativa ed ha allestito il sestetto  Big Mountain Small Path. Al vibrafono prende invece posto Pasquale Mirra, punta di diamante dei C’mon Tigre, che proprio nel 2019 hanno sfoggiato Racines, uno dei migliori dischi italiani del decennio.

In “Don Karate” si intercettano richiami soul e r’n’b con sfondi lounge – come in Ice age e nel singolo La classe – atmosfere chamber che lambiscono l’ambient – in African snow – e un cantato finale tipicamente rap (I wish) che affonda le corde vocali in un precedente (e più inquietante) electro pop in voga a metà anni ’80.

Poi c’è Planeta, una lineare ma meravigliosa bossa nova, suono di terre lontane. Se si chiudono gli occhi durante l’ascolto, sembra quasi una colonna sonora, con l’ascoltatore immerso nella trama di un road movie ambientato tra le colorate strade di Salvador.

Infine c’è il jazz, quello di impostazione più classica, nei brani Ysc, Tea 4 D. K. ed Epilogo: qui il divertimento diventa evidentemente dilagante, con i tre musicisti che si trovano maggiormente a proprio agio tra ritmi forsennati, improvvisazioni e blue notes.

A proposito di jazz, in più punti il terzetto strizza l’occhio alle nuove tendenze provenienti da Chicago, dai neonati Resavoir agli ultimi lavori dei mitologici Art Ensemble: se a ciò aggiungiamo che uno dei principali punti di riferimento di Tamborrino e soci sono i Tortoise – chicagoans purosangue – allora il triangolo si chiude in modo perfetto.

Non è ancora ben chiaro se Don Karate sia un gruppo vero e proprio o un progetto musicale. In una recente intervista, tuttavia, Stefano qualche indicazione l’ha data. Nel periodo precedente alla pubblicazione di “I dance to the silence”, il nostro è stato cooptato dal sassofonistaDavid Binney e dal batterista Louis Cole: il trio è partito per un lungo tour negli Stati Uniti e in Asia. Ebbene, oltre a sottolineare il suo entusiasmo per l’esperienza in sé, Stefano ha apertamente dichiarato di aver scritto materiale per 5 o 6 dischi.

I primi due li abbiamo già scoperti, e ci sono piaciuti tantissimo. Non fermarti adesso Stefano!

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