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Slift – Ummon

2020 - Stolen Body Records/Vicious Circle Records
garage rock

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Tracklist

1. Ummon
2. It's Coming...
3. Thousand Helmets Of Gold
4. Citadel On A Satellite
5. Hyperion
6. Altitude Lake
7. Sonar
8. Dark Was Space, Cold Were The Stars
9. Aurore Aux Confins
10. Son Dông's Cavern
11. Lions, Tigers And Bears


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Una volta un monaco domandò ad un ummon: “che cos’è Buddha?”

L’ummon rispose: “carta igienica”.

Questo koan della filosofia Zen potrà sembrarvi privo di senso, ma l’idea che esprime è tanto semplice quanto universale: un vero ummon (maestro e filosofo Buddista) – quando interrogato su cose più grandi di lui, impossibili da esprimere a parole – può ricorrere a vari escamotage (in questo caso, l’umorismo) per instillare nell’allievo il cosiddetto “grande dubbio”, scintilla del Nirvana. Non male eh? Nel caso degli Slift, l’escamotage è tutto musicale: “Ummon” (Stolen Body Records / Vicious Circle Records), secondo LP del giovane trio di Tolosa, risponde infatti alle grandi domande della vita con garage e psichedelia, a suon di fuzz e wah-wah, assorbendoci in un trip cosmico dal retrogusto decisamente spirituale che non tarda ad affascinare.

Fin dagli inizi, quella degli Slift si è dimostrata una formula irresistibile, che unisce con ispirata spontaneità passato e presente, psichedelia fine anni Sessanta e new-garage anni Duemila, una combo che ha trovato terreno fertile non solo nella West Coast degli Stati Uniti, ma anche in Francia, che negli ultimi anni ci ha regalato svariate gemme del genere (The Psychotic Monks, T/O, Th Da Freak, giusto per citarne alcuni). In “Ummon” troviamo riff estrapolati dagli universi “heavy” (si pensi all’hard-rock di Thousand Helmets Of Gold o allo space-stoner di Ummon e Altitude Lake) appoggiati su ritmiche ossessive, di chiara matrice kraut, il tutto farcito da irresistibili giri di basso (ne è emblematica la conclusiva Lions, Tigers and Bears); la chitarra, spesso protagonista, spazia in questo doppio LP dal frenetico (siano i lunghi deliri fuzz di Citadel On A Satelite, molto John Dwyer, o i wah-wah alla Jimi Hendrix di Hyperion) all’etereo (difficile non riconoscere i Pink Floyd in Dark Was Space, Cold Were The Stars e Son Dong’s Cavern). 

È fuori discussione che gli Slift condividano una sorta di estetica “allucino-mitologica” con gruppi oramai ultra-affermati quali Thee Oh Sees e King Gizzard & The Lizard Wizard (basti guardare allo stile chitarristico). Quello degli francesi, tuttavia, è un sound decisamente meno terreno, più spirituale, che guarda allo spazio inesplorato (“La Planète Inexplorée“, 2018) come alla chiave per raggiungere il tanto agognato Nirvana (“Space Is The Key“, 2017).

Gli Slift sono indubbiamente una delle realtà più audaci ed ispirate di Francia. Per rendersene conto basti dare un’occhiata alla loro recente esibizione per KEXP (che trovate qui), dove il trio da il meglio di sé per il progetto Trans Musicales in quella che sembra essere una cappella sconsacrata (La Chapelle a Rennes). Tirando nuovamente in ballo i Thee Oh Sees: se “Face Stabber” ha segnato il vostro 2019, considerate “Ummon” un ascolto obbligatorio.

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