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Green Day – Father Of All Motherfuckers

2020 - Reprise Records
garage rock / pop punk

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Tracklist

1. Father Of All...
2. Fire, Ready, Aim
3. Oh Yeah!
4. Meet Me On The Roof
5. I Was A Teenage Teenager 
6. Stab You In The Heart 
7. Sugar Youth 
8. Junkies On A High 
9. Take The Money And Crawl
10. Graffitia


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Billie Joe Armstrong (chitarra e voce), Mike Dirnt (basso e voce secondaria) e Tré Cool (batteria) formarono nel 1986 un gruppo che, in 34 anni “suonati” di carriera, si è aggiudicato diversi riconoscimenti, tra cui “New immortal” per Rolling Stone, 6 Grammy ed un posto nella Rock and Roll Hall of Fame.

Sono i Green Day, o potremmo dire erano i Green Day, di premi, dei riconoscimenti e del loro clamore politico-sociale, rimane solo un’ombra lontana di quelle che si allungano sull’asfalto cocente e di cui a stento ne riconosci le forme.

Il trio statunitense apre il suo 2020 con una produzione, “Father Of All Motherfuckers, firmata Reprise Records, la più breve nella storia della band, di soli 27 minuti. Forse i più affezionati si aspettavano e speravano in grandi cose, una celebrazione di questi 30 anni in cui i Green Day hanno creato pezzi iconici che hanno segnato, passando dallo stereo al walkman, buona parte della generazione anni 80/90 in quei moti di ribellione e rivolta di cui non ci capivi un cazzo, ma dopotutto era figo così.

“Non bisogna giudicare un libro dalla sua copertina”, lo diciamo spesso quando diamo giudizi avventati, senza una visione di insieme, senza una conoscenza seppur minima di ogni pagina di quel libro. In questo caso la copertina non fa altro che anticipare il contenuto del libro.

Un insieme illogico di elementi che stridono tra di loro, un unicorno grossolano che vomita arcobaleni (perché?) dal cui posteriore fuoriescono flatulenze ardenti, il titolo dell’album tatuato su un braccio, ed una mano che stringe una sanguinante dinamite, senza ombra di dubbio un imbruttimento della copertina di “American Idiot che agli inizi degli anni 2000 ha consacrato i Green Day tra gli dei del punk. Un azzardo mal riuscito di contestualizzare il passato in un momento culturale e musicale in cui il punk accostato a degli unicorni (e viceversa!) fa solo accapponare la pelle.

Father of all si presenta “scomposta” come se suoni, testo e corpo fossero stati presi e messi insieme per caso sperando nel miracolo. Billie vuole portare ancora una volta quella nota di ribellione sociale che a conti fatti oggi vede una cultura, politica e sociale, lontana e nettamente peggiore rispetto a quella in cui il frontman dei Green Day cantava “Don’t want to be an American idiot One nation controlled by the media Information age of hysteria“, perfettamente contestualizzato e adatto al momento in cui il punk aveva ancora il vanto di essere strumento di ribellione sociale e musicale.

Nel mix di suoni che proprio non riescono ad amalgamarsi tra di loro, parte la track 8, Junkie On A High che, aspetta,, ha un suono familiare, ma certo, orecchio attento o no, ricorda decisamente Boulevard Of Broken Dreams brano che, nel 2006, fece vincere alla band un Grammy come Record of the Year. Rimasto per 16 settimane in testa alla Billboard Modern Rock Tracks, Boulevard Of Broken Dreams vendette più di due milioni di copie. Al contrario, Junkie On A High si presenta come una ballata stanca e desolata, le manca quella tempra e quel carattere che del punk sono pilastri fondamentali, è una ballata sì, ma ballata male.

Nota di merito per Fire, Ready, Aim e Graffitia che riportano alla memoria degli affezionati le sonorità punk dei felici anni 90 e 2000 in cui i Green Day si erano davvero conquistati il loro posto in un panorama musicale e discografico in cui non era semplice riuscire a raggiungere le prime linee dei palchi e non ci voleva molto per finire dietro le quinte.

Se questo album fosse stato un compito in classe avrebbe preso a stento la sufficienza, “suo figlio è bravo ma non si applica”. Non si discute la capacità di creare qualcosa che si è dimostrato già di saper fare, ma si valuta la possibilità di darsi un punto da cui partire per iniziare un nuovo decennio, che può essere bello tanto quanto quelli passati. Ma se in generale non siamo soliti giudicare un libro dalla copertina, in questo caso la copertina ci facilita il lavoro ed il giudizio non è dei migliori.

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