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Old Man Gloom – Seminar IX: Darkness Of Being

2020 - Profound Lore Records
post metal

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Tracklist

1. Procession Of The Wounded
2. Heel To Toe
3. The Bleeding Sun
4. Canto De Santos
5. Death Rhymes
6. In Your Name
7. Love Is Bravery


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This pandemic we’re all living through is creating so much distance between all of us. This is our way of bringing us all a little closer.

Questa è parte del discorso che accompagna il fulmine crepitato dalle nuvole che si sono assembrate sopra le nostre teste oggi. Non sembrava tempo di tempesta, e invece lo è stato, e a causarla nessun Dio del Tuono, nessuna corrente, bensì una band che sta oltreoceano, una band che non doveva esserci più a causa della perdita mai troppo pianta di un elemento, e che invece proprio in suo onore c’è ancora. Loro sono gli Old Man Gloom, e loro sono tempesta.

Doveva essere un disco a sorpresa e lo è stato, questo “Seminar IX: Darkness Of Being”, come con “The Ape Of God” un album bipartito, anzi no, due album: prima “Seminar VII: Light Of Meaning”, in maniera consueta come da annuncio, e poi la folgore di cui sopra. Te lo aspetti, ma anche no, e l’attesa si fa elettrica, per poi scaricarsi. Ma come il mondo in larga parte è cambiato, così le abitudini delle band, o almeno di alcune. Quello che non è cambiato è ciò che sentiamo: “Darkness Of Being” è puro Old Man Gloom, in tutte le sue sfumature che tendono tutte a Caleb Scofield, come mani protese al cielo carico di sventura. Trovare qualcosa che non appartenga al quartetto (oggi completato da Stephen Brodsky) o che non suoni perfetto lì dov’è non è possibile. Certo, gli OMG di “No” o “Christmas” sono perduti nel tempo, perché nel frattempo hanno cambiato di nuovo pelle, come quelli avevano già fatto. 

Il seminario nono è doloroso come un chiodo spinto a forza in mezzo all fronte: ha strutture megalitiche che si ergono imponenti, piantata su navi lente sospinte da venti stoner-doom e bassi arroventati come alberi maestri a navigare mossi da voci stentoree che si incrociano a dar ordini in agitati mari abitati da mostri pesanti come montagne (In Your Name, Love Is Bravery), assalti a cuore aperto, a pugni tesi sul viso di un simulacro hardcore a sfregiarlo perché è giusto così (Heel To Toe), venti caldi, acustiche sensazioni di cuori di carta che bruciano e crepitando tra le mani che li stringono (Death Rhymes è pura bellezza), cerchi di luce solare in mulinelli di riff ipnotici nel cui mezzo sprofondano voci d’abisso (The Bleeding Sun) e rumori senza capo né coda che celano frecce punk dirette al volto (Canto De Santos).

Caleb sarebbe fiero di Aaron, Nate, Santos e Stephen. Ne sono certo.

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