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Igorrr – Spirituality And Distorsion

2020 - Metal Blade Records
breakcore / avantgarde metal / classica barocca

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Tracklist

1. Downgrade Desert
2. Nervous Waltz
3. Very Noise
4. Hollow Tree
5. Camel Dancefloor
6. Parpaing
7. Musette Maximum
8. Himalaya Massive Ritual
9. Lost in Introspection
10. Overweight Poesy
11. Paranoid Bulldozer Italiano
12. Barocco Satani
13. Polyphonic Rust
14. Kung-Fu Chèvre


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Prendete un vagone della metro particolarmente affollato. Su un paio di sedili sono seduti un breakcorer invasato che si scambia le cuffie con un compositore classico in piena fotta barocca e operistica appena uscito dal conservatorio. Dall’altro lato siede solitario un blackster che arcigno lancia occhiate incuriosite ai due, che di rimando, anche se non subito, ammiccano. Ad un certo punto quello che noi poveri stronzi vedremmo come un gabber decide di alzarsi per fare a cambio di posto col metallaro incallito. Ci mettono un po’ ma alla fine riescono nell’intento. Il primo ora occhieggia ogni tanto al duo appena formatosi ma si accorge che è venuto a mischiarsi un terzo soggetto, che pare arrivare dal Medioriente. Anche lui passa la sua cuffia. Il maestro del beat sorride compiaciuto.

Quel che prima era una scusa (il metal) per imbastardire ulteriormente un determinato suono già vieppiù disturbante (quello breakcore) ora è diventato la base da cui partire, e le origini il modo per mettere il turbo. Igorrr, al secolo Gautier Serre, che a mio avviso su “Savage Sinusoid” stava soltanto attraversando a fatica il vagone, per trovare il suo nuovo punto di vista, questa volta centra il bersaglio, tracciando un segno con mano ferma nel tremore del delirio. “Spirituality And Distortion” non è solo quella linea di demarcazione, ma anche tutto quello che sta al di là di essa. 

Un carrozzone di quelli tipo del miglior RIO (come impostazione, non genere) e degli altrettanto migliori anni, come se gli Univers Zero o i Magma si fossero mangiati un fungo velenosissimo, rendendoli cybermostri metalbreakcore dispersi nel deserto, con tanto di miliardi di strumenti e strumentisti pronti a montare su ogni brano un pezzo nuovo di impalcatura. L’album è infatti un viaggio in una sola direzione, quasi fosse un concept che unisce i colori del passato agli orrori del presente che ormai è futuro. Tutto si espande in ogni direzione, è maledettamente compresso e mutante, ogni tassello ha senso stia lì dov’è e quello successivo non potrebbe stare altrove. Senza alcun limite.

È così che il freddo metallo riemerge dalle sabbie del deserto, ora spiritualmente volgendo lo sguardo all’infinito orizzonte del Medioriente (l’Oud di Mehdi Haddab che spiana riff di chitarra circolari su Downgrade Desert, l’araba fenice dubbata mostruosamente di Camel Dancefloor, e qui Timba Harris e Antony Miranda screziano il tutto con violino e chitarra), ora all’Arizona più arido e stoner (sballo mistico di cori gregoriani targati Laure Le Prunenec rendono cosmica Polyphonic Rust). Bagliori ultra death inghiottiti da folgorazioni a 8-bit (Parpaing accompagnata dalla voce catacombale per antonomasia di George “Corpsegrinder” Fisher è un Atari imbottito di chiodi e C4) si scontrano testa a testa con brutalizzazioni jungle-funk-djent (Very Noise e il basso impossibile di Erlend Caspersen) e arie baroque deliziose con ensemble d’archi e clavicembali uccisi senza pietà da singhiozzi power electronics e scudisciate black metal (le incredibili vette operistiche Barocco Satani e Nervous Waltz), trafitte nella spina dorsale da voci balcaniche, tempi strappati, bassi ustionanti e accelerazioni infinite (Kung-Fu Chévre è una psicosi formidabile della quale andrebbero fieri gli Sleepytime Gorilla Musem).

Rimanere bloccati in una sola emozione è molto noioso per me; la vita è una vasta gamma di emozioni, a volte sei felice, a volte sei triste, arrabbiato, incazzato o nostalgico. La vita non è solo un colore. Queste 14 tracce sono un viaggio attraverso diversi stati mentali che ho vissuto” dice Serre, e io credo abbia ragione da vendere. Non è una frase buttata lì a caso per spingere l’album, è l’anima che lo pervade. Anzi, le anime: perverse, mutaforma, cangianti devastanti anime.

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