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Interviste

Fuga, consapevolezza, redenzione: intervista a Bologna Violenta

Nicola Manzan è titolare (assieme al batterista Alessandro Vagnoni) del progetto Bologna Violenta, che ha da poco fatto uscire il suo sesto LP “Bancarotta Morale” (qui la nostra recensione), che porta avanti un percorso di sperimentazione e rottura degli schemi iniziato nel 2005. Ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere con lui.

Con quali coordinate siete partiti per lavorare a “Bancarotta Morale”?

Volevamo continuare il percorso intrapreso con il precedente EP Cortina, ma volevamo che l’approccio fosse un po’ diverso, soprattutto a livello ritmico. Alessandro mi aveva mandato tempo fa una traccia di batteria che secondo me era perfetta per quello che ci serviva e gli ho chiesto di partire da quel “modello”. A quel punto ha scritto delle parti di batteria partendo da micro-improvvisazioni che ha manipolato in vari modi e ed io ci ho costruito sopra i pezzi cercando di non eccedere negli arrangiamenti, ovvero scrivendo prima le parti di violino e basso, completandole poi con le linee che ho successivamente registrato con l’armonium. Avevo a disposizione molte tracce di batteria, ma ho scelto quelle che più mi sembravano adatte ai racconti a cui dovevano essere associate.

Con il suo ingresso nel progetto Alessandro Vagnoni ha portato non pochi mutamenti. Cosa è cambiato nella lavorazione di questo e degli ultimi due album?

Di base i pezzi nascono sempre dalla batteria. Quindi è cambiato prima di tutto il fattore “umano”: quello che prima scrivevo midi con dei campioni, ora è il frutto delle idee di Alessandro, che ha un approccio simile, ma nonostante tutto diverso dal mio. Non siamo riusciti subito a trovare la “quadra”, il mio modo di comporre è molto lontano da quello di un classico batterista, ma Alessandro è molto versatile ed elastico e non ci ha messo molto a capire cosa stavo cercando di ottenere. Diciamo che “Discordia” è stato un buon punto di partenza, ma con questo ultimo album siamo arrivati ad ottenere il risultato che avevo in testa senza particolari problemi. Inoltre Alessandro è anche un ottimo fonico e produttore, quindi col passare del tempo ho affidato a lui le varie incombenze dei mix e degli aspetti più tecnici delle registrazioni, lavoro che mi piace fare, ma che preferisco lasciare in mano a persone più competenti di me, se ritengo che abbiano un gusto e un approccio simili al mio, come in questo caso.
Oltre a questo, sento che ormai siamo sulla stessa linea d’onda e di pensiero per quel che riguarda moltissimi aspetti, quindi il rapporto che c’è tra di noi va oltre l’aspetto meramente tecnico: decidiamo insieme anche i concept, li elaboriamo e ci confrontiamo su moltissime cose. Ora sento che siamo un vero e proprio duo: anche se continuo a sentire che il progetto è figlio delle mie pessime idee, posso dire che Alessandro è diventato col tempo un ottimo genitore adottivo.

Avete abbandonato le chitarre, come per lo scorso EP “Cortina”, e avete aggiunto armonium e organo, come mai?

Come già era successo con ”Cortina”, le chitarre sono state sostituite dal violino, mio principale strumento, quello che ho studiato e quello che considero come “la mia voce”. La mia intenzione era quella di creare qualcosa di aggressivo e disturbante usando dei suoni acustici e strumenti inusuali. Mi sono stancato delle sonorità vicine al metal, per quanto mi piaccia molto suonare la chitarra, e volevo che ci fosse uno stacco netto con tutta quella scena che sento ormai lontana dai miei gusti.
L’organo era già presente in alcuni brani dei dischi precedenti, anche se con un ruolo marginale. È lo strumento che mi ha fatto innamorare della musica e che mi ha spinto a suonarla e ne ho uno elettrico in casa che, per quanto malconcio, continua ad affascinarmi e ad intrigarmi.
L’armonium è un altro strumento che mi riporta all’infanzia, all’asilo dove andavo ce n’era uno e adoravo quei pochi momenti in cui ci facevano cantare mentre una delle suore lo suonava. Ha un suono che mi piace perché è crudo, imperfetto, a tratti glaciale, senza dinamica e senza compromessi. Anche se inizialmente avevo pensato di affidare le parti di accompagnamento a dei sintetizzatori monofonici, man mano che procedevano le registrazioni ho capito che la sonorità giusta era un’altra, e che il risultato sarebbe stato nettamente migliore con l’utilizzo di questo strumento così semplice e diretto.

Il brano conclusivo, “Fuga, Consapevolezza, Redenzione” mi ha davvero colpito, e si tratta di un esperimento inedito per Bologna Violenta. Com’è nato?

Il brano è nato da una improvvisazione fatta all’organo. Negli ultimi anni ho cambiato casa un paio di volte e non ero riuscito a portarlo con me insieme agli altri strumenti. Quando l’ho recuperato e piazzato nel mio studiolo, ho pensato che fosse finalmente giunto il momento di rimetterci le mani e di perdermi nei suoi timbri e nelle sue molteplici combinazioni sonore. Ho anche avuto la buona intuizione di registrarmi, pensando che forse avrei potuto ricavarne qualche idea per futuri brani. Dopo venticinque minuti di registrazione senza soluzione di continuità mi sono fermato, ho riascoltato quanto avevo suonato e, togliendo qualche parte poco efficace, sono arrivato ad ottenere una sorta di suite di circa venti minuti che ho subito arrangiato con archi, sintetizzatore, armonium e qualche chitarra acustica. Riascoltandolo ho immaginato che potesse essere adatto ad un nuovo album di BV, anche se non sapevo di preciso che senso potesse avere all’interno di un mio disco. Man mano che procedeva la scrittura di “Bancarotta Morale” io e Alessandro ci siamo confrontati sull’opportunità di inserirlo in scaletta e ci è sembrato particolarmente adatto, soprattutto dopo i suoi interventi ritmici che lo hanno reso più efficace e più in linea con quanto era già pronto.

Ho notato come in ogni tuo disco la spigolosità e la violenza dei suoni vengano sempre placate per uno o più sporadici momenti (in “Bancarotta Morale” è il caso della dolcezza de “La Sposa”). C’è un motivo particolare dietro queste fugaci aperture a un suono più morbido?

Semplicemente, penso che la violenza sonora, se perpetrata per troppo tempo e senza interruzioni, perda il suo valore e la sua efficacia. In questo caso si trattava di una questione legata alla narrazione dei fatti, ma penso che comunque serva un momento di pausa ogni tanto per ricaricare, per rilassare l’orecchio dell’ascoltatore. I pezzi che seguono questi momenti rilassati tendono ad avere una carica emotiva più forte, risultando ancora più aggressivi ed intensi.

Bancarotta Morale” racconta le vicende di alcuni personaggi dalla moralità corrotta e sicuramente molto bassa. Come sei entrato in contatto con queste storie e perché hai deciso di raccontarle?

Sono storie che ho raccolto in lungo e in largo, mentre ero in tour o semplicemente uscendo e conoscendo persone che me le raccontavano. Quando ho pensato di fare un disco legato a questo concept ho ritenuto che queste fossero le più adatte, quelle più in linea con il titolo del disco. Spesso le persone dopo i concerti mi raccontano fatti assurdi, suggerendomi di metterle in musica. Alcune finiscono nel dimenticatoio, altre mi rimangono in testa e, quando riesco, le racconto. Magari non saranno perfettamente fedeli alla realtà dei fatti, ma diciamo che sono molto vicine a quanto accaduto.

Ho sempre visto Bologna Violenta come una sorta di sfida, per l’ascoltatore come anche, credo, per te. Come vivi l’avanzare del progetto? Quali “sfide” hai affrontato grazie ad esso?

Per me ogni disco rappresenta una sfida. Cerco sempre di superarmi e le aspettative sono sempre altissime. Quindi, in genere, non posso dire di vivermi l’avanzare del progetto in maniera serena, anzi, per me è sempre un momento di conflitto, un momento in cui la prima nota registrata è la più difficile, come se fosse la prima pietra di una costruzione che va oltre le mie capacità progettuali e le mie aspettative.
Di base, mai avrei pensato di registrare sei album e vari EP, doveva essere una questione di un disco o poco più, non c’era una grossa progettualità dietro, ma col passare del tempo BV è diventato una fetta molto importante della mia esistenza, alzando man mano il livello della composizione, della ricerca di originalità, fino diventare in pratica una sorta di alter ego della mia esistenza. È forse la cosa più importante a cui mi sia dedicato in tutta la mia vita, quindi allo stesso tempo è anche una specie di buco nero in cui confluiscono gran parte delle mie energie.
Non riesco ad avere un approccio sereno al progetto, anche se non posso negare che sia quello che nel tempo mi ha dato più soddisfazioni e più risultati.

Com’è stato riportare in tour “Uno Bianca” dopo quattro anni dalla sua uscita?

È stato molto bello. Avevo un po’ perso il senso di questo disco, negli anni successivi alla sua uscita. Quando era stato pubblicato mi aveva causato non pochi problemi con le autorità e con le persone coinvolte, era diventato una specie di incubo in cui ero volontariamente entrato e da cui è stato difficile uscire. Nonostante avessi cercato in tutti i modi di evitarmi dei problemi, questi si erano presentati come da programma e devo essere sincero nel dire che mai avrei voluto finire in una situazione del genere. Riprendendo in mano il disco dopo quattro anni, ovvero dopo che tutti i malumori erano passati, finalmente ho affrontato le date con la serenità che durante il tour precedente non avevo in pratica mai provato.

In questo momento di totale blocco, periodo molto incerto e a dir poco sfortunato anche per i musicisti, cosa ti tiene occupato? Come stai affrontando queste settimane di quarantena?

La mia vita non è molto cambiata. Per me lo smart working è la normalità, se non sono a suonare sono a casa a portare avanti i miei progetti, a registrare per me e per altri, quindi non sento dei grandi stravolgimenti. Sono molto dispiaciuto perché avevo voglia di tornare in tour come BV insieme ad Alessandro, perché questa è una cosa che mi manca. Ma non ci si può fare niente. Ne approfitto per fare, come tutti, credo, quello che di solito non riesco a fare per mancanza di tempo. Spero che la situazione si risolva presto, anche se non ho una visione molto positiva, sia per noi che per i locali, che sicuramente dopo un blocco del genere avranno molte difficoltà a riaprire e a proporre concerti. Insomma, cerco di tirare avanti giorno per giorno senza demoralizzarmi troppo.

Qual è il futuro di Bologna Violenta?

Qualche mese fa ti avrei detto che non c’era alcun futuro per BV, poi ho fatto il disco nuovo di cui sono molto soddisfatto.
Ora non so come risponderti. Mi sento di dire che molto probabilmente un futuro ci sarà, ma non ho la più pallida idea di che forma avrà e di come si svilupperanno le cose. Non ci penso, quando avrò voglia di fare cose nuove le farò e vedrò di farle al meglio, come ho sempre fatto.

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