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Interviste

“Beyond Space And Time”: il mondo di paure e speranze di Gab De La Vega

Photo: Jaden D

A cinque anni dalla sua ultima fatica discografica, Gab De La Vega torna con un lavoro inedito, il full lenght “Beyond Space And Time”, inaugurando un nuovo, personalissimo percorso artistico. Undici tracce che mettono in luce la volontà del songwriter bresciano di consegnarci materiale dalla profonda forza emotiva e sentimentale, senza tuttavia mettere da parte la notevole caratura sociale e politica che ne ha sempre dettato la strada. Abbiamo fatto una chiacchierata con l’artista a proposito della sua release, del panorama musicale italiano e di quanto il “do it yourself” e il mondo dell’underground siano ancora un pezzo importantissimo per la cultura nostrana.

Il tuo nuovo lavoro, intitolato “Beyond Space And Time”, è il terzo full lenght che rilasci come Gab De La Vega. Quali tematiche hai toccato in questa occasione, e come ti sei trovato a collaborare con una band al completo sul tuo materiale?

Questo disco è il primo a essere arrangiato come “full band”, ma credo che paradossalmente sia il mio album più intimo e personale. Ho deciso di affrontare la stesura dei testi senza filtri né limiti. Quello che sentivo di dire, lo dicevo, anche se poteva toccare qualche nervo scoperto, mettere in luce aspetti di me che per qualche motivo non mostro o addirittura capaci di farmi sentire vulnerabile. Ci sono vari strati di significati e contenuti nei pezzi, posso però provare a snocciolarne qualcuno per ogni brano. A chi legge poi chiedo di provare a trarre gli altri, andando ad ascoltarsi il disco e a leggersi i testi, anche tra le righe. Si parla di come la vita e le persone sappiano prenderti a calci anche quando sei a terra e di quanto forte puoi essere nel dimostrare di saperti rialzare. Provo a prestare la mia voce a chi affronta l’inferno per cercare salvezza (ripeto, ci provo, non voglio nemmeno pensare quanto sia davvero atroce vivere le storie che sentiamo raccontare). Parlo di smarrimento, di disorientamento nella nostra esistenza; di percezioni falsate nei confronti di noi stessi e degli altri, di vacuità delle giornate che vengono scandite una dopo l’altra senza reale direzione e della necessità di dargliene un senso. Canto la libera creatività, il senso dell’arte come manifestazione delle nostre pulsioni, necessità espressiva e salute mentale. Svelo sentimenti intimi come l’amore e il bisogno di sentirsi in connessione con un’altra persona, rivendicando queste tematiche come necessità di tutti gli umani, in un brano molto intimo che vuole sottrarle alla musica di massa, recuperando il senso profondo di esse. Analizzo come molte dinamiche sociali odierne siano simili a quelle già viste nei periodi più bui della storia contemporanea, di come il fascismo sia capace di cambiare pelle ma rimanere sempre una belva pericolosa e strisciante che avvelena il mondo e di come sia un dovere morale opporsi a esso. Scrivo una lettera ad amici che hanno deciso di togliersi la vita, sperando che chi stia accarezzando questa terribile idea oggi possa leggerla, prima che sia troppo tardi. Parlo di come la nostra sia la società dell’assurdo e di come ci inseriamo noi in essa, tra critica e accondiscendenza. E infine, nel brano più intimo del disco, in cui sono solo io con la mia chitarra acustica, parlo di speranza, di fiducia nelle persone e nelle nuove generazioni, di necessità di credere che non tutto è perduto e che ciò per cui abbiamo vissuto e lottato fino ad oggi sarà raccolto da chi potrà fare la differenza. I pezzi nella fase iniziale di scrittura sono stati stesi da me soltanto, per poi essere strutturati in sala prove con Marco “Cello” Cellini, batterista con me già negli Smashrooms e col quale avevo già lavorato su “I Want Nothing” nel 2017. Abbiamo dato l’ossatura ritmica ai pezzi. Poi in studio con Simone Piccinelli (ormai siamo alla quarta collaborazione insieme) abbiamo lavorato agli arrangiamenti degli altri strumenti, chitarra elettrica, basso … Alcune idee tra arrangiamenti, seconde voci e altro le avevo già sviluppate mentre scrivevo i pezzi, altre erano solo vedute vaghe e indefinite su come volevo che suonasse il pezzo in questo o quel punto. Lì è intervenuto Simone, ottimo musicista e compositore oltre che produttore molto capace; ho affidato i miei disegni al suo genio e alla sua creatività, affrontando giorno per giorno i brani in studio insieme a lui, in un lavoro certosino, approfondito e di grande sperimentazione. È stata un’esperienza bellissima, abbiamo percorso liberamente i più disparati sentieri creativi, rivedendo le idee, facendo tentativi, esplorando soluzioni a volte audaci, a volte semplici ma efficaci. Per cui posso dire che la band in sé, vera e propria, è arrivata solo dopo, nel momento in cui è stato possibile portare il disco dal vivo in questo formato. Simone ha proposto il ruolo di bassista a Giorgio Marcelli … ed ecco come è andata.

Photo: Jaden D

Le nuove tracce che proponi strizzano l’occhio al folk-rock ma lasciano anche un ottimo retrogusto grunge e alternative sul palato. A quali artisti, del presente e del passato, ti sei ispirato per il tuo LP?

È veramente difficile dire a chi mi sono ispirato perché non credo che ci sia sempre una vera e propria scelta cosciente nel trarre ispirazione. Posso dirti che in questi anni, in cui ho poi lavorato al disco, mi sono piaciuti molto Noel Gallagher’s High Flying Birds, Frank Turner, Against Me!, City and Colour, Tim Barry, Oasis, Pearl Jam e Eddie Vedder, Brian Fallon, Austin Lucas, Blur, Chuck Ragan, The Dirty Nil, The Beatles, Jeff Buckley, Stone Roses, Nirvana, Foo Fighters e potrei andare avanti per ore … Può essere per il modo di scrivere, per alcuni suoni, per i sentimenti che evocano, per il modo di concepire la musica, per il modo di proporsi dal vivo o di affrontare la produzione di un disco … quindi non posso parlare di una vera e propria ispirazione, in senso “classico” del termine.

La tua storia come cantautore è legata a doppio filo a quella di Epidemic Records, etichetta dietro la quale sei deus ex machina da lungo tempo. Quale è, a tuo parere, la forza che etichette underground possono ancora sprigionare nel 2020? Il d.i.y. è ancora una cultura per la quale vale la pena lottare? Se sì, come?

Penso che le etichette underground abbiano senso di esistere solo se poi chi le deve recepire ne sappia cogliere il reale valore. Parlo del pubblico, ma anche degli artisti. Non si possono intendere come strumenti, o peggio ancora, bancomat, per finanziare la propria avventura musicale, ma come alleati e compagni d’armi nel creare qualcosa di realmente alternativo, vivo, vitale, nel “sottosuolo”, nell’underground, sotto la pesante coltre della musica di massa e del suo consumo acritico di essa. Il valore del “fai da te”, o del “facciamolo insieme” sta proprio lì: nella “personalizzazione” della produzione musicale, intesa come coinvolgimento della personalità, degli individui e delle collettività che vi lavorano nei vari stadi. Questo crea l’anima di ciò che si fa, nelle sale prove, negli studi di registrazione, nelle piccole etichette e, ovviamente, anche dal vivo. Mi piace pensare che sia ancora questa la forza di queste realtà e personalmente con Epidemic Records cerco sempre di affrontare le cose con questo spirito, vivendo ogni disco, ogni uscita, come se fosse anche il mio album, la mia band. Il d.i.y. è un valore prezioso per chi fa musica a questo livello, perché ti insegna a metterti in gioco, a dare del tuo, a creare, non solo artisticamente. Mi spiace constatare che per alcuni si tratta di una scusa comoda per fare cose approssimative o recluse alla nicchia dei pochi che possono essere raggiunti solo perché all’interno della solita cerchia, purtroppo sempre molto autoreferenziale. Con gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi potremmo veramente diffondere musica “alternativa” nel vero senso della parola, andando a toccare persone che potrebbero benissimo esserne coinvolte se solo non ci fosse questa “romanticizzazione” del “do it yourself”, per cui “le cose si facevano così, vanno fatte così”. Mi sembra assurdo che una cultura dinamica e vivace come questa debba essere risucchiata dall’immobilismo dogmatico del “si fa così e basta”. Ma non saltate sulla sedia indignati, la mia è una critica (costruttiva, peraltro) ad alcune frange di questa cultura. Fortunatamente esistono, anche in Italia, persone e realtà virtuose che si prodigano e si battono per un d.i.y. attivo, creativo, moderno e capace di essere aperto all’esterno, pur sapendo coltivare l’identità che lo caratterizza.

Photo: Jaden D

Chi ti conosce e ti segue da tempo, sa quanta valenza ricoprano i tour per un artista underground come te. Quali esperienze hai inserito in “Beyond Time And Space”? Il lutto della quale sei stato vittima recentemente ti ha fatto cambiare la visione sul tuo album, o lo ritieni in ogni caso un lavoro degno di nota anche dal punto di vista sentimentale e personale?

“Beyond Space And Time” è stato registrato tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Prima di esso c’era “I Want Nothing”, nel 2017, che era un singolo. L’album precedente, “Never Look Back”, è stato registrato nel 2015, quindi i brani sono stati scritti, diciamo, nel 2014. Si parla di un intervallo dei quattro, cinque anni, in cui ho fatto un sacco di tour e di concerti. Ciò mi ha decisamente aiutato a confrontarmi con tanti “colleghi”, mettermi alla prova, affrontare diverse situazioni, vedere come affrontano la musica tanti altri musicisti, ma anche audience diverse. Quando nel 2017 sono stato in tour la prima volta sulla costa est degli Stati Uniti e poi in Canada, ho visto gente suonare in maniera pazzesca, con grande anima, anche solo per “fare una datarella ogni tanto, quando passa qualcuno in tour”. Quel tour ha cambiato molto il mio modo di intendere la mia musica e i miei live. Non che non mi fossi impegnato prima, anzi, ma è stato un punto di svolta: ho iniziato a mettere molta più anima, testa, cuore in quel che facevo, quasi come se sentissi di dover dimostrare (a me stesso) di “essermelo meritato”. Volevo vivere la mia musica fino in fondo, in ogni suo aspetto, con rinnovata e più profonda passione.  Questo spirito è quello che è stato alla base della scrittura di “Beyond Space And Time”. Il lutto che mi ha colpito, la perdita di mia madre, è una cosa che in qualche modo è legata, forse inevitabilmente, all’uscita di questo disco. È avvenuto, nel giro di pochi mesi, proprio mentre stavo lavorando alla preparazione dell’uscita del full lenght. Non ho cambiato la mia visione sul mio album, anzi, forse l’ho rafforzata, dandogli un nuovo, ulteriore significato, dopo un’esperienza tanto dolorosa. Sotto questa luce la profondità dei pezzi, le parole e i suoni di questo disco, diventano ancora più personali e i sentimenti che evocano in me si sono amplificati e si sono moltiplicati.

La scena musicale italiana: cosa vorresti mantenere e cosa vorresti cambiare, dei recenti anni che ne hanno forgiato una trasformazione tanto attesa quanto necessaria?

In un momento come questo, in cui legata al Covid19 ha letteralmente spazzato via la musica indipendente, può essere difficile rispondere alla tua domanda. Spero che potremo tornare a suonare, a creare e a vivere gli aspetti sociali legati alla musica; spero che ci si renderà conto dell’importanza della musica in Italia, Paese in cui la Cultura è solo intesa come arte e patrimonio storico (che vanno benissimo), ma mai come musica (anche) indipendente.
Manterrei la voglia, spero rinnovata, di voler creare, fare e proporsi; vorrei che cambiasse l’atteggiamento nei confronti della musica, spesso vista da molti come qualcosa di “hobbystico”, di scarsa serietà e di poca importanza, purtroppo talvolta anche da persone che vivono all’interno di questi ambienti.

Una delle tracce che più mi ha colpito è senza dubbio “We’ve Already Seen All This”, nella quale il ciclico ripetersi di errori storici viene da te (giustamente) descritto come un grave pericolo per la nostra democrazia. Di questa Europa che dà e toglie, cosa cambierebbe Gab De La Vega? Quali errori dovremmo smettere di fare, e in quale modo dovremmo istruire le prossime generazioni per far sì che non avvengano nuovamente?

Vorrei che le persone tornassero al centro di tutto. Vorrei che la nostra società fosse più attenta ai diritti di tutti, cercando di estenderli a chi non li può avere, a includere i più deboli e i più vulnerabili. Vorrei che ci riscoprissimo tutti fratelli. Vorrei che chi specula sulle paure, sull’ignoranza e sulla frustrazione della gente venisse visto come il vero nemico, per quello che realmente è. Imparare dal passato, saper capire il presente, creare il futuro: spero che questo possa essere possibile e spero, nel mio piccolo, di saper contribuire a tutto ciò.

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