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Tetema – Necroscape

2020 - Ipecac Recordings
sperimentale

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Tracklist

1. Necroscape
2. Cutlass Eye
3. Wait Till Mornin’
4. Haunted On The Uptake
5. All Signs Uncensored
6. Milked Out Million
7. Soliloquy
8. Flatliner’s Owl
9. Dead Still
10. Invertebrate
11. We’ll Talk Inside A Dream
12. Sun Undone
13. Funerale di un contadino
 

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Gli anni in cui Patton spadroneggiava in lungo e in largo sembravano ormai un ricordo lontano. Giustamente non si può sempre spingere a mille all’ora, no? No. Perché il 2020 io me lo voglio ricordare come l’anno in cui i progetti di Mike si sono riattivati in full force, non solo come l’anno di un cazzo di virus. Tomahawk, Dead Cross e Mr. Bungle in studio e ora? Ora tetema

Geocidal” (un debutto devastante) risale a ben sei anni fa, e il timore che fosse il solito touch and go era, ancora una volta, una sensazione pressante, perché da queste parti si fa a questo modo, no? No. Richiamato alle armi Anthony Pateras e un paio d’altri amici (Will Guthrie alle pelli ed Erkki Veltheim a viola e mandolino), tetema può risorgere con “Necroscape”. A dominare il campo visivo è di nuovo un bianco accecante, contrastato dal nero della scultura di Talitha Kennedy, una copertina che tende a descrivere accuratamente la duplice (se vogliamo fermarci qui) natura del progetto. 

L’ambiente che si srotola nelle tredici tracce del secondo album del quartetto manda indietro le lancette a quando Mike soleva stare più in studio con Zorn che a casa propria ed è sensazionale come proprio certe cose riescano ancora bene all’uomo di Eureka, e come il compositore australiano riesca a costruirci attorno, con fare certosino e con innata inventiva, un soundscape tanto pregevole quanto originale. Uscito dalla porta ritorna dalla finestra, dunque, quel retrogusto grind annebbiato da suoni sottomarini sull’asfissiante Milked Out Million, o nei chiptunes digitali schizoidi di Soliloquy. Guthrie non è solo un comprimario, ma la macchina d’assalto necessaria a portare i giri dell’album più in alto possibile, e lo fa randellando duro quanto più possibile e marcando il groove con puntellamenti iridescenti, tipo che potreste rendervene conto per bene su Flatliner’s Owl. Non può mancare una lettera d’amore inviata per mezzo disco a Morricone e per l’occasione si va a ripescare Funerale di un contadino: dove stava Chico Buarque ora pianta la bandiera il leader dei Faith No More e rieccolo cantare in italiano, donando al testo quel pizzico di disperazione in più, sullo sfondo il samba diventa un sabba impreziosito dagli interventi di Veltheim, in un gorgo di passato che non passa mai, quasi un anatema da marcia funebre.

È inebriante e al contempo stordente passare da momenti missilistici a situazioni “circensi” come le trasversali e slabbrate All Signs Uncensored e Dead Still: tra scat vocali e grida belluine con contorno di leggiadrie vocali c’è da abbuffarsi con tanto di versi da ghiottoni. Pateras allarga Invertebrate a suon di glitch minimali e Mike ci mette su il cappello ornando il tutto con un’aria vocale novantiana d’antan, delle quali è padre indiscusso. We’ll Talk Inside A Dream è foliès a tempi schiantati, uno schizzo pollockiano sulla tela dell’alternanza di generi che si scontrano, invertono e ingigantiscono per poi ritorcersi trip hop. A colpi di scure si buttano giù porte su Haunted On The Uptake, e davvero sembra “il tour bus dei Melvins che si sfascia nel bel mezzo dei Balcani” in una pioggia d’elettricità contorta. E se l’imperativo è fare male, l’elettronica “rotta” di Sun Undone agisce secondo gli ordini, nell’orrore di un buio impossibile da dissipare di manipolazioni digitali che piegano le ginocchia.

Ennesimo giro, ennesimo centro.

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