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Wednesday – I Was Trying To Describe You To Someone

2020 - Orindal Records
shoegaze / indie rock

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Tracklist

1. Fate is
2. Billboard
3. Love has no pride (condemned)
4. Underneath
5. November
6. Maura
7. Coyote
8. Revenge of the lawn


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La storia musicale dei giovani americani Wednesday, dal North Carolina, ha inizio nel campus universitario di Asheville. L’ideatrice del progetto, la cantautrice e chitarrista Karly Hartzman, è grande appassionata di musica grunge, shoegaze e sudamericana. Nel 2018 conosce Daniel Gorhan – affine nei gusti – e insieme iniziano a comporre e suonare, partendo dalle loro passioni e con l’intento di rivisitare il rock in chiave moderna.

Lo stesso anno incidono addirittura un long di dieci trace, “Yep definitely”, un acerbo ma promettente esperimento che già traccia la strada dell’immediato futuro, tra indie rock, psych e grunge. Più di ogni altra cosa, il punto di riferimento dei due è l’album Reading, Writing and Arithmetic dei Sundays, dai quali prendono spunto in modo evidente per il nome della band.

Galeotta fu una festa a casa della sorella di Karly, ed ecco che si presenta l’occasione per suonare dal vivo, ma evidentemente manca il resto di una vera band. Un giro di telefonate fa sì che si organizzi qualche prova con Xandy Chelnis, Alan Miller e Julien Melissas: tre chitarre, basso e batteria, una voce inquieta e il gioco è fatto. Il successo alla festa è immediato, tanto che la voce si rincorre nell’underground di Asheville e nel giro di poco tempo alla band viene data l’opportunità di esibirsi dal vivo.

Giusto il tempo di sostituire Julien Melissas con Margo Shultz al basso, ed ecco che in rapida successione – tra dicembre 2018 e maggio 2019 – escono due EP: il primo ha un titolo infinito, “How do you let the love into the heart that isn’t split wide open”, mentre il secondo è semplicemente omonimo. Tra grunge, rock e shoegaze migliora lo stile di scrittura e l’impianto sonoro, a maggior ragione se si considera la registrazione di tipo casalingo.

Dopo la laurea, Karly chiama a sé la band e comunica che è arrivato il momento per tutti di scrivere qualcosa, al fine di concepire un album che sia espressione dei Wednesday intesi nel loro insieme. In questo periodo ascoltano l’indie rock degli Swirlies e degli Acetone, le raffinate composizioni di Arthur Russell, lo slo-core dei Red House Painters – che daranno l’ispirazione per la forma canzone da adottare – i sorprendenti Tenniscoats dal Giappone e la giovanissima musicista di provenienza ambient Ana Roxanne.

Nel disco, secondo Karly, non devono mancare riferimenti letterari, altra grande passione della chitarrista e lead vocalist. In particolare, i fari che illuminano le notti di Asheville hanno le sembianze paranoiche di Richard Brautigan, la fede di Mary Flannery O’Connor, l’eclettismo di David Berman (che fu anche un eccellente cantante e chitarrista) e il postmodernismo di Tom Robbins. E non è finita qui. Anche il cinema gioca un ruolo importante: la band ama molto Fiori d’acciaio, uno struggente ritratto familiare che valse un Golden Globe e una nomination agli Oscar ad una giovanissima Julia Roberts.

Nasce così “I was trying to describe you to someone”, un long in otto tracce che tenta di mettere ordine nella vita di Karly. Ricordi, rimpianti, errori: è tutto in fila, pronto per essere raccontato senza fronzoli e inutili giri di parole. Dal punto di vista musicale, la potenza delle tre chitarre caratterizza ogni singola traccia, le linee di basso rasentano l’ossessività di un disco punk, mentre la batteria è dolce ma in alcuni punti picchia quasi a livelli industrial. La voce di Karly si trascina, viene sommersa ma poi si riprende la scena in modo deciso, quasi disperato. Tranne alcune – e rare – fughe verso tempi più accelerati, per tutta la durata del disco non ci si allontana mai dalla forma slo-core, come se la band rallentasse il tutto per avere più tempo, un pretesto per raccontare le cose con un’alienata calma.

Al contrario della band di Harriet Wheeler, che parlava di domeniche pomeriggio in un mondo assolato, i mercoledì del North Carolina sono brevi, bui e freddi. D’altronde, non c’è nulla da stare allegri quando la settimana è nel suo centro esatto.

La matrice christian si materializza subito in Fate is, che si interroga sui temi del destino attraverso la metafora di un cartello stradale, visto contemporaneamente come un punto di non ritorno e uno scomodo posto in cui si è costretti a tornare dopo aver commesso “il fatto”. Quel punto viene attraversato a ritroso in Billboard, una ballad che ricorda Zombie dei Cranberries.

La dialettica sentimentale prende il sopravvento con il passare delle tracce, così nel trittico Love has no pride (condemned ), Underneath e November il cielo è livido, il sorriso scivola sotto al tappeto, ma a lei piace il modo con cui l’amato le sussurra quanto gli manca, ed anche se ad un certo punto l’autunno incalza, piove e il naso sanguina a causa del freddo, nulla scalda di più del modo con cui un lui si aggira nel cuore della sua ragazza.

L’onirica Maura è un manifesto shoegaze. Karly diventa una presenza eterea, in un saliscendi vocale ancora alla Dolores O’Riordan, canta e quasi recita un testo apparentemente senza senso, dal quale però traspare tutto il disagio del suo vissuto attuale. Probabilmente, ad un passo dalla conclusione è questo il momento più intenso del disco.

Ma essere shoegaze, spesso, significa sommare il peggio al male precedente, senza soluzione di continuità. Ed ecco che il seguito non poteva che essere affidato a Coyote, l’ennesima ballad nella quale l’autunno di November diventa inverno in modo definitivo e irreversibile. Si chiude con Revenge of the lawn, forse la cronaca di un addio.

Dal punto di vista stilistico, la prima vera fatica targata Wednesday è in definitiva una bella scoperta. I temi del disagio giovanile non sono mai abbastanza attuali: parlare di rimpianti, di errori commessi e, in qualche modo, di desiderio di redenzione è già di per sé indice di grande maturità. Karly e i suoi non lo fanno in modo adolescenziale, al contrario dimostrano la presa di coscienza di essere ormai entrati nella dimensione degli adulti.

Anche l’aspetto musicale, curato nei minimi dettagli nella stanzetta dell’ex studentessa di Asheville, è ben organizzato nell’intento coraggioso e orgogliosamente portato avanti negli anni di avere una line-up con ben tre chitarre. Ognuno fa il suo, senza protagonismi e, soprattutto, riducendo al minimo il rischio di una catastrofica confusione sonora.

Per usare il gergo cinematografico, tanto caro alla band, verrebbe da dire: buona la prima, aspettando quanto i cinque ancora hanno di buono da dire.

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