1. Ousia
2. What It Takes
3. Disinheritance
4. Agathon
5. Determined Outcome
6. Misology
7. Afterworld Alliance
8. Palinodes
9. Backhanded Cloud
10. Glorious You
11. For Raymond Scott
12. Matronymic
13. The Red Desert
14. Conciliation
15. Ataraxia
16. The Unlimited
17. The Runaround
18. Climb That Mountain
19. Captain Praxis
20. Eudaimonia
21. The Lydian Ring
“aporìa s. f. [dal gr. ἀπορία «difficoltà, incertezza», der. di ἀπορέω «essere incerto»]. – In filosofia, difficoltà di fronte alla quale viene a trovarsi il pensiero nella sua ricerca, sia che di tale difficoltà si ritenga raggiungibile la soluzione sia che essa appaia intrinseca alla natura stessa della cosa e quindi ineliminabile.”1
Il titolo suona già a dichiarazione d’intenti e ad anticipazione di ciò che è lecito aspettarsi da questo sforzo congiunto da parte di Sufjan Stevens e del patrigno Lowell Brams. Sì, proprio quello di “Carrie & Lowell”, l’album più intimo e personale del cantautore del Michigan e tra le vette della sua variopinta discografia. Superato da tempo lo steccato della nicchia e del feticcio da nerd musicali, Stevens ha dimostrato un eclettismo e una fame di varietà fuori dal comune, soprattutto in un ambito spesso conservatore come quello cantautoriale, passando dal songwriting bucolico e in agrodolce di “Seven Swans” al capolavoro caleidoscopico di “Illinois”, all’elettronica vintage e naïf di “The Age Of Adz” fino al ritorno a casa nel disco autobiografico dedicato ai genitori di cui sopra. Ciliegina sulla torta: la pioggia di nomination e premi per Mistery Of Love, brano cardine della colonna sonora di Chiamami col tuo nome, acclamato film di Luca Guadagnino, il cui successo ha aperto al musicista anche le porte della notorietà mainstream. Al netto di qualsiasi critica, è uno degli autori più riconoscibili e ispirati di questa generazione, senza dubbio.
Dal disco in solo del 2015, tuttavia, il nostro si sta facendo aspettare, spezzando la attese solo con un paio di dischi collaborativi: “Planetarium” con Bryce Dessner (The National), Nico Muhly, e James McAlister, e questo “Aporia”. Se del primo si può abbastanza apertamente parlare, ahimè, di colpo a vuoto, di questo si può spendere senza remore l’aggettivo “interlocutorio”. La coppia rimette mano all’elettronica casalinga e d’antan, seppur privandola della patina weird e giocosa che aveva in “The Age of Adz” e levigandone i suoni fino a conferirle un sapore new age2 (non a caso Stevens cita Enya e Boards of Canada come principali ispirazioni). Alcuni passaggi ricordano l’elettronica eterea di Kaitlyn Aurelia Smith, ma senza le asperità che rendono quella interessante. Il tutto è spesso molto rilassante e compassato, anche troppo; il risultato è piacevole ma non lascia granché, men che meno la voglia di riascoltare. L’impressione che si ha è di aver ascoltato una colonna sonora (non è neanche un mistero che un’ulteriore fonte di suggestione siano state le colonne sonore di film come “Blade Runner”, “Under the Skin” o “Hereditary”3), più che un disco con una sua propria autonomia, ed è forse l’intento iniziale con cui questo disco è stato concepito. O, più semplicemente, un divertissement tra figlio e patrigno.
A risultare più a centro sono quindi gli episodi nei quali l’artista veste gli abiti a cui ci ha più abituati, quelli di matrice cantautoriale come What It Takes (per quanto quelle percussioni quasi etniche, mmm…) o Agathon. Tra questi, menzione speciale merita The Runaround, non a caso l’unico brano cantato del lotto. Fatti salvi alcuni casi interessanti (il finale ai limiti dell’industrial di Afterworld Alliances, la fugace strizzata d’occhio al minimalismo di Ataraxia, la fuga kraut di Captain Praxis), l’album è tipico della famigerata categoria “for fans only”.
A cinque anni da “Carrie & Lowell” il buon Sufjan si sta facendo attendere per dare un seguito degno (tutt’altro che facile) a quel gioiello. Nel frattempo, ci accontentiamo di queste pillole, delle quali in ogni caso tutto si può dire tranne che non siano realizzate con la cura, amore e dedizione a cui ci ha da sempre abituato il nostro.