Impatto Sonoro
Menu

Back In Time

“Temple Of The Dog”, da epitaffio a tempio del grunge

Amazon button

Cos’hanno in comune i Soundgarden e i Pearl Jam? Semplice,  i Temple oF The Dog.

Tutto ha inizio il 19 marzo 1990 con l’ennesima morte per overdose: il malcapitato questa volta è Andy Wood, vocalist dei Mother Love Bone. Questo tragico evento è ispirazione per Chris Cornell per scrivere due brani:  Say Hello 2 Heaven e Reach Down, che condivise con i due superstiti membri del gruppo (musicisti che da li a pochi mesi avrebbero dato vita ai Pearl Jam). Al terzetto si unirono Matt Cameron, Mike McCready e un neonato Eddie Vedder trasferitosi da poco a Seattle, città che inconsapevolmente sta diventando culla del movimento grunge e autrice di un nuovo capitolo nella storia del rock.

Temple Of The Dog”è l’unico album che questo supergruppo ci ha regalato, ma forse è proprio la sua unicità ad averlo reso così importante: è un piccolo gioiello da custodire e ammirare, destinato ad essere ricordato nel tempo. Sembra altrettanto incredibile come questo lavoro, abbia definito in maniera così netta le cifre stilistiche di band figlie come i Soundgarden e i Pearl Jam.

Le note che aprono l’album sono quelle di Say Hello 2 Heaven, struggente e commovente canzone che Chris dedica all’amico appena passato a miglior vita, una ballata in puro stile grunge che spinge Cornell ad acuti inarrivabili come se volesse far arrivare il suo ‘urlo’ in paradiso.Suoni più duri con assoli di chitarra e virtuosismi a cappella li ritroviamo in Reach Down, forse il brano più originale dell’album, importante per definire il sound dei Soungarden.

Si passa poi a Hunger Strike superbo duetto Cornell-Vedder, il brano parla del modo in cui le persone ricche si approfittano di chi non ha niente, venne pubblicato nel ‘92 come singolo e per l’occasione venne girato anche un videoclip (l’unico pubblicato dal gruppo).

Pushin Forward Back sembra un brano scritto dai Pearl Jam con tanto di ritornello accattivante, ma è la successiva Call Me A Dog a far venire i brividi, ballata strappalacrime che parla di amori turbolenti. Times Of Trouble è invece una canzone piena di speranza, che esorta a riflettere e trovare la forza dentro di noi per non cadere nel baratro (in questo caso della droga), “Don’t try to do it / Don’t try to kill your time”.

Pezzi memorabili come Wooden Jesus, Your Savior e Four Walled World contribuiscono a consacrare l’album come tra i più influenti di quell’anno. Dopo tanta potenza e tanta passione ci si aspetterebbe un finale col botto, invece All Night Thing è un pezzo che non riesce decollare, l’unico anello debole dell’intero lavoro.

A ventinove anni dalla sua pubblicazione il disco si conferma essere una pietra miliare del grunge: di lì a pochi mesi vedranno la luce “Nevermind” dei Nirvana e “Ten” dei Pearl Jam, responsabili dell’esplosione di questa subcultura in tutto il mondo.

Ascoltare oggi questo album significa rivivere quegli anni tanto cari al rock’n’roll, uno degli ultimi momenti in cui la musica riuscirà a dare voce a quel pessimismo e a quell’angoscia interiore che caratterizzava e caratterizza ancora oggi molti giovani senza prospettive future.

Il mio consiglio è di riascoltarlo con la mente sgombra dai più blasonati detentori dello scettro grunge che nel tempo lo hanno oscurato. Solo in questo modo si può capire a pieno l’anima di questo fragile ma intenso lavoro.

Nel 2016 durante un’intervista Chris Cornell non escluse una reunion del gruppo ma, come sappiamo, poco tempo dopo lo attese lo stesso triste destino di molti suoi colleghi consumati dalla stessa musa che li ha tanto ispirati e che sembra essere stata particolarmente spietata con i protagonisti della Seattle anni ‘90.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati