Impatto Sonoro
Menu

Back In Time

“Repeater”: i Fugazi, quello che eravamo, quello che siamo

Amazon button

Non importa se alcuni di noi hanno 40-50 anni, non importa se la gran parte dei nostri amici sono diventate altre persone, quello che conta è che oggi siamo ancora qui a parlare dei Fugazi. Almeno, tra le mie conoscenze dirette, io.

Proust si stupiva nell’ultimo libro della Rechèrce del fatto che le persone che conosceva quando era giovane non erano più le stesse, ma non perché fossero semplicemente cambiate, erano, secondo lui, diventate totalmente delle altre persone. Sì, perché i Fugazi, e soprattutto “Repeater” hanno avuto una grossa influenza su molti di noi, ci hanno dato qualcosa di importante che sarebbe utile conservare. Avremmo dovuto conservare meglio anche i nostri rapporti, le nostre amicizie, senza lasciar passare troppi anni, ciò avrebbe richiesto un grande sforzo e impegno da parte di tutti e così, infatti, non è stato.

Ma oggi ho voluto compiere un’ardua impresa, ovvero contattare alcune di queste persone, più o meno mie coetanee, vecchi amici insomma e chiedergli che cosa si ricordavano dei Fugazi, che cosa gli era rimasto, un ricordo, una parola, qualunque cosa.

In molti, come prevedevo, non mi hanno neanche risposto ma, per la mia gioia, qualcuno sì, ed è andata così:

Angelo mi racconta che “La cosa che mi aveva colpito della band fu uno spezzone di un concerto dove eseguivano mi pare, Turnover (la traccia di apertura di “Repeater” ndr) e dove per la prima volta vidi una connessione tra la band e il pubblico mai visti prima, era come se la band e il pubblico si muovessero all’unisono”

Carlo invece, mi ricorda che “Li ascoltavo perché in quel periodo c’era un gran bisogno di chitarre”, mentre Paolone mi spiega: “Ascoltavo “Repeater” senza capire un cazzo, che ne sapevamo noi della ripetizione della vita quotidiana? Del consumismo? A quei tempi le nostre vite erano una scoperta continua e cambiavano ogni giorno. Mi piacevano e basta.”

Vero, penso io, ma grazie a loro, anche inconsciamente, ci arrivava un messaggio. Che ne sapevamo noi dell’avidità? Non sapevamo niente eppure McKay e Picciotto ci urlavano quei temi nelle orecchie mentre ci prendevano d’assalto con severe spadate soniche mentre il basso di Lally e la batteria di Canty ci trasportavano nella corrente alternativa degli anni 90, corrente che non tutti colsero, seppur, al giorno d’oggi, nessun’altra è stata di egual impatto nella cultura pop.

Eppure era l’unica voce che avevamo per sentire che qualcosa non andava. Ed era attuale, quindi, per noi, più efficace del punk del 77. Perché la comunicazione era cambiata: ora McKay ci parlava di unità, di prenderci cura del prossimo, di combattere ogni tipo di discriminazione, ci faceva capire che tutte quelle energie andavano incanalate in un certo modo.

Quando ci trovavamo al negozio di dischi ad ascoltare le nuove uscite, eravamo nel pieno degli anni 90 e quello che avevamo dentro era qualcosa di talmente puro, vivo, energico che è difficile da spiegare, era la nostra crescita interiore, il nostro “come of age” e una cosa ci accomunava: il sentirsi gettati nel mondo, ce l’avevamo tutti negli occhi. Ed è stata una comunione durata anni. Poi ciao. Cosa farai, cosa non farai, cosa fare, bisogna crescere, bisogna seguire i canoni della società per essere accettati, quindi camicie stirate, capelli ordinati… tutto questo ci ha fatto perdere di vista. Questo mi fa domandare il perché io sia qui a 43 anni a scrivere dei 30 anni di “Repeater”.

Eravamo tutti lì, nessuno in trepidante attesa per qualche uscita. Nel 1995, semplicemente, i dischi uscivano. Ed era appena arrivata una manciata di copie di “Red Medicine”, album con cui scoprii i Fugazi. E il giorno dopo, ancora lì, ad ascoltarlo, qualcuno a comprarlo ma, ad un certo punto, quando tutti fummo ormai conquistati, il proprietario se ne esce con “E il primo l’avete sentito?”

“Repeater”, in realtà era il cd di “Repeater + 3 Songs” a differenza dell’Lp o della cassetta che conteneva solo l’album originale, mentre nel cd era stato aggiunto il 7” del 1989 contenente, appunto, 3 canzoni.

E i pezzi ci colpirono all’istante e il messaggio di “Repeater” non arrivava solo attraverso i testi, era soprattutto tramite quelle incursioni noise destrutturate e improvvisate da un live in studio che si faceva strada l’onda di ribellione intellettuale che avevano dentro i quattro musicisti. Quello che cercavamo noi era libertà, e i Fugazi, seppur criptici alle nostre orecchie infantili, ce la trasmettevano.

L’apertura di Turnover ci fece capire che quella band parlava direttamente a noi. Era aprile e stavamo in strada, una strada del centro storico poco frequentata da macchine perché sfocia in una zona pedonale. la musica dei Fugazi usciva dalla porta aperta e dalla finestra del piccolo negozio e quel “One, two, three… Repeater!” Ci faceva capire che non si trattava della canonica band di hardcore di cui eravamo saturi senza ammetterlo. Eravamo abituati alla scena punk più in voga o in pieno ritorno di fiamma con Dead Kennedys, Black Flag, Bad Religion, ma qui c’era qualcosa di diverso, i pezzi erano tirati ma pazzescamente coinvolgenti, i riff e le linee di basso erano tra le più creative mai sentite.

La linea di basso di Brendan #1 era cruciale: era lì che si capiva subito che nel background di Joe Lally non c’era semplicemente punk rock, bensì soul, reggae, funk e una marea di musica di svariate origini etniche. Ecco la ricchezza della loro scrittura musicale: le loro influenze non erano così apertamente dichiarate ma erano innervate nel loro punk e lo rendevano più aperto a unire melodie, creatività e frastuono. E non ci si aspettava mai la stessa cosa da una produzione Dischord in quanto avevano i numeri per spaziare e viaggiare in una delicata regione di stili ed influenze mantenendo un’identità fissa. Questa era magia.

Perché l’hardcore stava stagnandosi. Non si muoveva, e, come ha detto Picciotto: “Se non fai musica che si muove e non muove la gente, non ha più senso”. In pratica quello che ha colto il mio amico Angelo.

E il senso era iniziato prima di “Repeater” quando Guy era seconda voce e “ballerino” sul palco non stava fermo e si dimenava come un matto. Quello era il punk per i Fugazi. Movimento. Scuotimento mentale ed evoluzione, a partire da Guy Picciotto che finalmente diventò seconda voce e chitarra ed entrò con “Repeater” nel nucleo incandescente della creatività dei Fugazi, era tutto volto a non diventare niente di statico o di tradizionale, come stava diventando “tradizionale” l’hardcore per intenderci, altrimenti il fuoco si sarebbe spento.

E dato che erano già 30 anni che esisteva la musica di protesta e niente era cambiato, i Fugazi avevano capito che per cambiare le cose non dovevano solo scrivere musica che incitasse al cambiamento, dovevano loro per primi dare l’esempio. Concerti benefici, cause sociali, donazioni agli ospedali locali, alla lotta contro l’Aids, contro glia armamenti, 8$ per cd, niente merchandise, concerti gratis o a 5$, niente videoclip.

Questo è “Repeater”: riuscire a dare un valore ad un prodotto al di là del peso commerciale, vuol dire resistenza e far funzionare un dialogo spontaneo, stabile e forsennato allo stesso tempo, tra due chitarre tramite un’alzata di sopracciglio.

Perché tutto questo? Perché “Repeater”? Perché è nato guardando i ragazzi che mettevano su band hardcore e creavano una rete di musica e concerti in tutto il paese, senza cercare fama, gloria o soldi, volevano solo suonare ed essere giovani, senza l’ingombro delle case major a mettere regole su come e quando andavano fatte le cose. Non ce n’era bisogno, sapevano già tutto loro, i ragazzi. Il tutto è stato concepito per riuscire a toccare nuovi orizzonti.

In questo i Fugazi hanno avuto successo ed è così che questa band di ragazzi di Washington DC è diventata così influente e ricordata a livelli mitici. E voi, che vi siete dimenticati chi eravate, non abbiate paura di perdere il lavoro, non accadrà se andrete a ritrovare il cd di “Repeater”. So che non l’avete buttato! E voi invece che non li avete conosciuti in tempo, trovate i “vostri Fugazi” e teneteveli stretti, come dovete tenervi stretto quell’aspetto animale che avete sviluppato. È vostro. E fatelo fare anche ai vostri amici.

We owe you nothing
You have no control

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati