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Interviste

Gli incubi distopici di un giovane padre: intervista a Rishi Dhir degli Elephant Stone

Gli Elephant Stone sono la creatura psichedelica di Rishi Dhir, bassista e sitarista canadese già membro del “supergruppo” MIEN. Insieme ai compagni Miles Dupire (batteria), Robbie Macarthur (chitarra) e Jason Kent (tastiere, chitarra), ha da poco concluso il tour promozionale di “Hollow” (qui la nostra recensione), un ambizioso concept album dai toni “thunbergiani” ed un incredibile compendio di sonorità psichedeliche senza tempo, che spazia dal pop al rock lisergico passando per la vecchia scuola di Canterbury. Li abbiamo incontrati a Bordeaux, dove hanno eseguito una performance assolutamente impeccabile nell’iconica grotta dell’Astrodome, noto locale underground. Ecco la nostra intervista.

Innanzitutto, complimenti per lo show. Il fatto che il nuovo album sia concepito come un continuum non fa che risaltare l’incredibile intesa tra i vari membri della band. Tuttavia – da quello che ho letto – gli Elephant Stone hanno avuto una formazione in continuo mutamento sin dagli inizi. Da quant’è che esiste la lineup attuale? Qual’è la vostra storia?

Rishi: Ho fondato gli Elephant Stone nel 2006. Inizialmente l’idea era quella di un progetto garage interamente strumentale con l’aggiunta del sitar, ma è rapidamente mutato in qualcosa di ben più pop e psichedelico. È vero, abbiamo avuto molti membri…essendo io il nucleo vero e proprio della band, posso dire che non nutro certo rancore verso chi ha deciso di tagliare con la precaria vita del musicista perennemente in tour o di perseguire terreni più fertili. Io e Miles, tuttavia, suoniamo insieme da circa 8 anni e Robbie era parte della formazione originale nel 2008. Come vedi, i membri “storici” tendono a tornare al nido dopotutto [sorride].

Cosa dobbiamo conoscere della scena di Montreal, Arcade Fire a parte? Qualche consiglio su nuove, promettenti band locali?

Rishi: Seguivo molto da vicino la scena locale a metà degli anni Novanta, con band quali Goldfish, Tinker, Stellar Dwellar, Blinker The Star, The Dears e Godspeed You! Black Emperor. Quando gli Arcade Fire iniziarono a farsi conoscere, ero perennemente in tour con la mia vecchia band (The High Dials), per cui ho perso molto di quello che è successo più recentemente. Al giorno d’oggi mi ritrovo così impegnato tra famiglia e musica che non assisto più a tanti concerti quanti effettivamente mi piacerebbe.

Parliamo di influenze letterarie. “The Three Poisons” traeva ispirazione dal Tibetan Book of the Dead, “Ship Of Fools” dalla Repubblica di Platone…qual’è la controparte letteraria di “Hollow”? Esiste un filo conduttore tra i diversi album?

Rishi: Battlestar Galactica? [ride]. No, dai. Seriamente, sono un grande fan della letteratura distopica e sci-fi e non sono certo cieco rispetto a ciò che sta accadendo nel mondo, tra surriscaldamento globale, demagogie varie e social media. Il filo conduttore nei miei lavori (inclusi “The Seven Seas”, “The Glass Box” ed “Elephant”) direi che è da individuarsi in niente più che una personale descrizione del mondo che ci circonda.

Discutere di cambiamenti climatici e distopie non-poi-così lontane dovrebbe essere sulla coscenza di ogni artista. Sei sempre stata una persona molto empatica verso questo tipo di problematiche o avere dei figli ha cambiato la tua prospettiva? Chiedo per un amico.

Rishi: The times they are a changin’… [ride]. Stiamo assistendo ai risultati del nostro modo di fare avido ed egoista. Ho imparato molto negli ultimi 10 anni, ma penso di essere sempre stato conscio dell’impatto delle mie azioni nel mondo che ci circonda. Sono diventato vegetariano nel lontano 1997 (poi ricaduto nelle tentazioni della carne qualche anno fa, ma ora tornato sui binari veggie) e pedalo ogni giorno per andare al lavoro (anche d’inverno!). Avere dei figli ha di certo rafforzato il mio spirito critico rispetto a tutto ciò.

Q: Due delle mie tracce preferite di “Hollow”, l’iniziale Hollow World e Keep The Light Alive, contengono una voce fanciullesca che – se ho capito bene – appartiene a tua figlia Meera. Che ne pensa dell’album? È già diventata un ascoltatore opinionato?

Rishi: Penso sia imbarazzata e fiera al tempo stesso. Sta crescendo ascoltando la stessa musica del padre, per cui penso che gli Elephant Stone suonino molto naturali alle sue orecchie. È un’anima buona e talentuosa.

“Hollow” è il primo album degli Elephant Stone per Fuzz Club Records, nota etichetta londinese che da diversi anni si sta prendendo cura anche del prezioso underground italiano (JuJu, New Candys, Sonic Jesus, The Gluts). Come siete diventati parte della famiglia Fuzz Club? Vuol dire che vi vedremo più spesso in Europa?

Rishi: Conosco Casper Dee (presidente dell’etichetta) da moltissimi anni attraverso la comunità psichedelica internazionale. Per l’uscita del nuovo disco cercavo un’etichetta capace di gestirne la distribuzione europea e Fuzz Club mi è sembrata la scelta più ovvia, più naturale. E comunque sì, adoriamo girare l’Europa (specialmente l’Italia!).

Per concludere, un giochetto che neanche Pitchfork: suggerite ai nostri lettori un disco che considerate una pietra miliare seguito dal nome di un drink adatto ad accompagnarne l’ascolto.

Rishi: “All Things Music Pass” di George Harrison con un Gin Tonic al lime.
Miles: “Love Supreme” di John Coltrane con un Old Fashioned.
Robbie: “Moving Pictures” dei Rush con una Labatt 50 (birra Canadese).
Jason: “Pink Moon” di Nick Drake con un Bloody Caesar.

Grazie ancora a Rishi e agli Elephant Stone per l’incredibile performance e per aver trovato il tempo di scambiare quattro chiacchiere con noi. Qui trovate l’entusiastica recensione di “Hollow“, uscito il 14 Febbraio per Fuzz Club Records. Da non perdere. Cheers!

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