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Dogleg – Melee

2020 - Triple Crown Records
emo / punk

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Tracklist

1. Kawasaki Backflip
2. Bueno
3. Prom Hell
4. Fox
5. Headfirst
6. Hotlines
7. Wartortle
8. Wrist
9. Cannonball
10. Ender


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Andate a casa dei vostri genitori. Rifilate un osso al vostro cane sovrappeso e chiudete il vecchio in bagno con la scusa che la prostata è una brutta bestia. Mandate vostra madre a comprare il latte e chiudete i gatti sul balcone. Ora… ora che siete finalmente soli in quella che una volta era camera vostra, mettetevi le cuffie, fate un respiro profondo e poi avviate la riproduzione. Nelle vostre orecchie sentirete un suono preciso: quello della giovinezza così come dovrebbe essere vissuta, con rabbia e velocità, senza rimorsi e giusto un pizzico di emotività.

I Dogleg sono Alex Stoitsiadis (voce e chitarra) Chase Macinski (basso), Parker Grissom (chitarra) e Jacob Hanlon (batteria). Quattro giovani born in Detroit, (Michigan) che garantiscono una carica energetica sopra le righe con una dichiarazione d’intenti semplice: musica veloce che vi colpisce in faccia. Quindi nessuna illusione, in “Melee” non troverete momenti di tranquillità. Nessuna pausa, niente tempo per un abbraccio e nei rari momenti in cui c’è un po’ di calma, sentirete comunque qualcuno urlare in lontananza. È la lezione dei Pixies di Black Francis, del Scream it like you hate that bitch! Questa è gente che a vent’anni mal contati non solo pensa di comandare, ma è certa di riuscire a farlo, sono convinti che nel giro di poco comanderanno su tutto e tutti (e niente ciabatte in tangenziale).

Dieci brani, 36 minuti di una mischia senza sosta, sostenuta da una freschezza e una potenza da urlo. A partire dal primo riff di Kawasaki Backflip i Dogleg si fanno paladini di una filosofia spiccia: suonare veloce e combattere l’ansia con l’ansia. I brani vivono in equilibrio precario, tra il galleggiamento in aria e la facciata sul pavimento. E nel mezzo, in quel piccolo spazio tra l’ascesa e la caduta, questi quattro ci fanno intravedere l’arcobaleno emotivo di quello che provano. Le chitarre sinuose di Fox terminano con uno sprint olimpico mozzafiato che ci riempie le gambe di acido lattico, Headfirst ci porta in un saliscendi emozionante, tra la vittoria e la sconfitta (però come se il risultato finale non fosse importante).

La disperazione implacabile di Bueno fa da contraltare alla rabbia di Wrist, il classico punkeggiare di Wartortle ci restituisce il giusto orientamento, dopo l’angoscia di Prom Hell e lo sgangherato ondeggiare di Cannonball. E dopo infiniti balletti nei quali voci e chitarre si rincorrono senza sosta, l’album arriva al termine con Ender, contaminata con l’Ave Maria e che, finalmente, concede a tutti un po’ di meritato riposo. Amen. Non c’è dubbio che “Melee” ricada nel genere emo, prima che fosse un fenomeno da hair stylist: Stoitsiadis inizia e finisce l’album in uno stato di spossatezza avanzato, ancora indeciso se reagire o arrendersi alle forze che lo centrifugano, come già personaggi più noti di lui in passato.

Ma il disco è allineato anche con altri universi (musicali), con lo scopo di sublimare l’aggressività attraverso la liberazione fisica e non solo di contemplarla. Come la maggior parte della musica rock definita giovanile, “Melee” non propone nuove forme, piuttosto un rock di sintesi che unisce quello che una volta risultava sparso in un più ampio numero di band. Questa è la musica della generazione Z (quella ad alta tecnologia circoscritta tra i nati nella seconda metà degli anni 90 e la fine degli anni 2000) che usa “Melee” come bignami di quanto ascoltato finora nella loro breve esistenza, forgiandolo in una concezione della vita a tratti binaria: da una parte band la cui aggressività è del tutto in contrasto con i gusti mainstream, dall’altra gruppi che fanno della musica lo strumento per il controllo dell’ansia.

Nelle librerie musicali di questi ragazzi, di quelli che vedete nel video di Fox saltare nell’atrio di una scuola superiore, mischiati e sudati, futuri dropout e geometri col riporto, foruncolose teste colorate e imberbi espressioni di chi crede in un futuro roseo (i Sex Pistols non hanno insegnato proprio nulla) c’è un wild bunch di gruppi compreso in un intervallo che va dagli …And You Will Know By the Trail of Dead, più strettamente emo, agli At the Drive In, rappresentanti dell’ala violenta del Post Punk Revival. Il mio orecchio sente anche un che di Buffalo Tom (titolari di un paio di hit che da sole valgono una carriera), di Texas Is The Reason (che hanno ballato una sola stagione) e di tutta una serie di band dell’epoca d’oro del grunge/post grunge.

Inoltre, l’ottima impressione che “Melee” fa all’ascolto è solo la punta dell’iceberg: è un vero peccato dover recensire questa band (non semplicemente questo disco) a distanza oceanica e solo attraverso dei brani ascoltati al massimo volume possibile nelle stanze della mia testa, perché la vera essenza dei Dogleg la si percepisce nei concerti. Andate a farvi un giro su Youtube e mi direte se non ho ragione.

In definitiva “Melee” è un disco estremamente godibile che contagia con la sua voglia di vivere e dotato di un’energia che da l’impressione di essere inesauribile, come in un momento di immortalità sospesa. Contro intuitivo nella costruzione, privo di ballate e zeppo di pezzi ruvidi, “Melee” racconta il puro piacere fisico di essere in grado di saltare più in alto, colpire più velocemente ed essere più forte di chiunque.

Una curiosità: melee in inglese significa mischia e anche se ben descrive lo stile musicale della band in questo disco, fa riferimento a Super Smash Bros, videogioco fondamentale per i loro live tanto quanto le giravolte su una mano del frontman durante i concerti. Se questi dieci brani di certo non rivoluzioneranno la musica potrebbero però diventare una fantastica pietra angolare dalla quale partire per l’edificazione di una cattedrale sonora potenzialmente maestosa. E se al peggio, non diventassero nulla, rappresenterebbero comunque un momento clou nella vita di ognuno di noi: hic et nunc la fotografia di un momento ineluttabile, segni e sintomi della gioventù che corre, fugge e rincorre, il modo fantastico in cui ognuno di noi si è sentito a un certo punto della nostra vita, al massimo delle nostre possibilità. E del quale ti rendi conto solo quando ormai è andato. Sparito. Cantato. Suonato. Stop.

“Melee”, Dogleg, marzo 2020, anche per oggi nessuna erezione triste.

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