Subsonica – Mentale Strumentale

Delle tante cose che questa assurda situazione che stiamo vivendo si è portata dietro c’è un nuovo album dei Subsonica che nuovo non è. Ai tempi di “Amorematico” il suono della band torinese era ancora estremamente venato di quelle influenze “non per tutti” che avevano caratterizzato i loro lavori fino a quel momento, e tutt’attorno si respirava quell’aria di anomalia che pareva spirare da luoghi ameni al mainstream. Fu lì che nacque “Mentale Strumentale”.

La Mescal non ne volle sapere di pubblicare un album così ambizioso, troppo obliquo ai gusti di chi si approcciava ai Subsonica che sarebbero stati di lì a poco – forse aveva intuito che il potenziale commerciale del gruppo risiedeva nella forma canzone e grettamente non si volle prendere il rischio. A detta del quintetto fu una delusione, perché il contenuto di quell’album era veramente buono, coraggioso, forse estremo, perché nessuno si sarebbe aspettato qualcosa di simile da loro, aggiungo io. Ed è tutto vero. Nemmeno io l’avrei fatto prima di ascoltarlo, soprattutto dopo l’operazione ultrapop di “Microchip temporale” o dischi come “8” o anche solo “Terrestre”. Tutto mi sarei aspettato tranne che un contraltare così tanto distante dal presente di Samuel Romano e soci. 

Irriconoscibili, una fredda macchina cogitante ma priva dei contenuti lirici tanto cari alla fanbase curata da quel dì in avanti e votata alla sperimentazione meno usuale, anche alla cultura alternativa che andava per la maggiore all’epoca (oggi non ne parliamo nemmeno), con “Amnesiac” nel cuore e Brian Eno nelle orecchie, i Subsonica cercavano una loro via – a loro dire – e alla fine non la intrapresero. Del perché e del percome non si sa nulla, e forse nemmeno ci frega, al massimo un senso di rammarico. 

La rinuncia alla forma canzone e l’abbraccio dell’anomalo sono solo la superficie di “Mentale Strumentale”, disco che riporta a galla sensazioni di rattrappimento umorale, paura futuristica, sci-fi in musica e rostri d’acciaio malleabile. Quello messo in atto da Boosta, Samuel, Casacci, Vicio e il Ninja è un’opera cyber(non)punk che si destreggia tra le assonanze vangelisiane su cui crepitano rombi d’n’b figliata da Aphex Twin di Decollo – Voce Off a pastiche space come la morbida Detriti nello spazio. I bassi stringono le maglie dell’inquietudine di Artide 3 A.M., quelli di Tempesta solare si fanno largo su frastagliate colonne industriali dall’andamento scomposto. Ancor più industrial l’ambience raggelante di Cullati dalla tempesta, con la chitarra a rompere gli schemi delle pulsazioni ritmiche e la voce che compare dal vuoto dello spazio spargendo stralci di vocalizzi sezionati accuratamente, esattamente come sulla rarefatta A di addio, in cui Samuel divide lo spazio con Madame Mystere.

L’estro anglosassone più elettronico e garage trova terreno comune con una meno fredda inclinazione alla soundtrack di film mai girati: Tempesta solare potrebbe essere un western ambientato in futuro distopico, Delitto sulla luna un poliziottesco che si svolge su un pianeta ben al di là del sistema solare, Strumentale e l’incattivita A nord di ogni lontananza sono spy story i cui protagonisti sono cyborg disegnati con un tratto slabbrato da uno scienziato romantico e in preda alla più alienante psicosi.

Questo dei Subsonica in lockdown è un azzardo, e come tutti gli azzardi espone il gruppo all’attenzione del proprio pubblico abituale, che dubito apprezzerà davvero, e a quello più vecchio, il quale si ritroverà corroborato da una pioggia che, sebbene gelida, porta tutto il fresco di tempi passati. Come nella scena finale di “Blade Runner”. E riecco il rammarico di cui sopra.