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Back In Time

“Dopoguerra”, una tormenta di neve rossa e vento caldo

Sono già passati quindici anni? Quindici, lunghi anni dall’uscita di “Dopoguerra” dei Klimt1918. Se ci ripenso è davvero “una vita fa”, perché in quindici anni si è creata tutta una nuova generazione, mode sono nate e cadute, le cose hanno cominciato ad accadere e hanno anche smesso, la Storia si è messa in moto, ancora e ancora, anche la musica è cambiata. Ma quella lo fa sempre. E forse anche quella si è fermata. In quindici anni può succedere questo e altro.

Quindici anni fa avrei dovuto finire le superiori, ma non lo feci, ero in una fase anomala, un po’ come quella che vivono quasi tutti a quell’età, e preferivo passare le mie giornate al negozio di dischi (ma onor del vero anche al bar). Così, in quelle mattinate passate a farmi metter su dischi dall’amico gestore, capitò che vidi la copertina di “Dopoguerra”. Quel bianco e nero che si schiantava dritto sullo sfondo rosso mi folgorò e il nome della band mi prese. Klimt1918. Mai sentiti, mai letto nulla a riguardo. La curiosità saliva, complice quell’adesivo che recitava “Early U2 meet INTERPOL and KATATONIA”. I Katatonia non mi sono mai piaciuti, ma cazzo, gli U2 (quelli “early” poi) e gli Interpol sì. Non mi restò che aprire il portafogli e procedere all’acquisto. “Vuoi ascoltarlo, prima?” mi venne chiesto. No, fu la risposta.

Feci bene a non rovinarmi la sorpresa. Una volta tornato a casa (ancora vuota, coi miei a lavoro), trovai ciò che cercavo da tempo. Il tempo di dare un’occhiata al libretto e scoprire che i Klimt1918 sono italiani, e finii investito da una tormenta di neve e vento caldo. Non capivo perché classificarli, perché andavano ben oltre la denominazione dell’etichetta questi Klimt1918. Il mio cuore fece un tuffo ed ebbi la sensazione di essere venuto a contatto con quella Storia che tanto amavo, come se il Tempo si fosse richiuso su di me e mi avesse circondato, una crisalide cremisi che mi mise nella condizione di piangere. Tutto il malessere proprio di quell’età infausta si disciolse mentre le note di They Were Wed By The Sea mi scompigliavano il cuore e Snow Of ’85 portava il termometro della malinconia a livelli che raramente avevo provato fino a quel momento con il finale che sfuma su quella furia morbida che ancora oggi mi fa impazzire, letteralmente.

Non riuscivo a scollarmi, nemmeno se la Guerra fosse tornata avrei voluto farlo, avrei osservato i bombardamenti dalla mia stanza, perché era un posto sicuro. Ma non tornò e l’unico conflitto era quello interiore, quello che si combatteva tra il mio cervello e il posto dove dovrebbe risiedere l’anima, se solo ci credessi. Eppure gli accordi di Rachel e gli arpeggi mi facevano stringere qualcosa dentro, quella voce di seta che si prendeva la scena restando in un angolo della camera, nell’angolo dove la luce converge, e la cavalcata di pedale che rimbombava nel petto, e Rachel che chiude gli occhi, che ha paura della Guerra, che è piena di rabbia, la sentivo vicina a me, anche io vivevo (e vivo) in un mondo in cui nessuno ama né spera. Guardate fuori e vedrete che è così anche ora. Soprattutto ora.

Because Of You, Tonight era qualcosa che non potevo comprendere, tratteneva in sé una disperazione che non riuscivo a tradurre, mentre boccheggiavo in preda alla tormenta in cui ero rimasto impigliato, ma non volevo che la logica si intromettesse in un’intimità che trovavo per la prima volta in assoluto, chiudevo tutto fuori e quando arrivò “I give up…NOSTALGIA” sentivo l’acqua incresparsi e l’esplosione arrivare col suo calore impossibile da sopportare. L’aria limpida e splendente di Dopoguerra era come se mi lenisse, la perfetta descrizione di un mondo liberato dalle catene e la capacità di descrivere un Mondo che non è più ancora oggi non saprei dove altro trovarla, perché sembra che la band sia lì, e dipinga quel rosa da cui Roma sorge. Il pianto tornò a farmi singhiozzare con Lomo, e sentivo di non poter esternare nulla a quel modo, ma lo stavano facendo loro per me, e le chitarre ascendevano al cielo e in uno scatto di otturatore non c’era più nulla a cui guardare.

Sono già passati quindici anni? Sì, ma mi sembra di essere ancora là, in quella giornata di sole, rinchiuso tra le quattro mura di tutto la realtà che conoscevo, con la sicurezza che non mi sarei mai lasciato dietro un disco così potente. Quindici anni dopo posso confermarlo. Ad imperitura memoria.

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