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RVG – Feral

2020 - Fire Records
indie rock / garage

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Altro che gruppo spalla. Dal momento in cui Romy Vager apre bocca, ci si dimentica per chi abbiamo effettivamente alzato il sedere dal divano di casa, siano i Faith No More, Kurt Vile, i Pixies o – nel caso del tour italiano – gli Shame. Quello della cantante e paroliera degli RVG (The Romy Vager Group) è un timbro graffiante e senza tempo, che punta dritto al cuore,  capace di sciogliere i duri del rock come ammaliare i distratti del pop.

Con questo secondo lavoro, registrato agli Head Gap Studios con il produttore Victor Van Vugt (PJ Harvey, Nick Cave & The Bad Seeds), gli RVG si riconfermano maestri nel combinare urgenza rock, anarchia punk ed empatia pop, regalandoci l’ennesimo piccolo capolavoro di Aussie revival anni Ottanta, stavolta per la londinese Fire Records. Mi riferisco a band quali Sunnyboys, The Saints e soprattutto Go-Betweens, personalissimo colpo di fulmine di Romy, che considera il loro “Liberty Belle and the Black Diamond Express” del 1986 un ascolto essenziale.

In “Feral” troviamo garage-rock tinti di glam (Aleksandra), siparietti dal retrogusto yé-yé (Asteroid) e diversi jingles che sembrano provenire dalla penna di Robert Smith (Little Sharky & The White Pointer e Prima Donna). A sorpresa, il meglio del trio australiano esce però nelle cavalcate western rock, come la divertente Christian Neurosurgeon (della serie “Ben Carson, se ci sei, batti un colpo”) o l’irresistibile Help Somebody, che strizza l’occhio ai War On Drugs come ad un’altra promettente realtà guitar-based di Melbourne, i Rolling Blackouts Coastal Fever. A controbilanciare tutta questa energia troviamo poi un paio di ballate: buona la prima (I Used To Love You), decisamente superflua la seconda (Photograph), che manca l’allunaggio emozionale portato invece a termine dalla splendida That’s All nel disco precedente (“A Quality Of Mercy“, autoprodotto ed uscito nel 2017).

Se la rinomata scena psichedelica di Melboure si presenta come un ambiente perlopiù maschile – con band quali Tame Impala, King Gizzard & The Lizard Wizard e Tropical Fuck Storm a farne da padroni – lo stesso non si può certo dire per le sue scene indie, pop e punk. Da qualche anno la frizzante metropoli australiana ha infatti aperto sempre più le proprie porte non solo al sesso femminile (Amyl and The Sniffers, Parsnip, Stonefield, Camp Cope e chi più ne ha, più ne metta), ma alle comunità gay (basti pensare a Courtney Barnett e Jen Clother, fondatrici dell’etichetta Milk! Records), queer e non-binarie (June Jones dei Two Steps on the Water), permettendo ad un artista quale Romy Vager, donna trans, di scrollarsi di dosso le scomode etichette conservatrici della nativa Adelaide e scatenare tra le vie di Preston il suo timbro schiacciasassi.

Mettiamola così: “Feral” è un disco che avrebbe potuto benissimo uscire nella primavera del 1985, tra “Ocean Rain” degli Echo & The Bunnymen e “The Queen Is Dead” degli Smiths. Invece esce oggi, nel 2020, testimone di come certe formule non invecchino mai per davvero. Se anche voi riconoscete nei sopracitati dei classici intramontabili, vi do un consiglio: mettete in pausa Stranger Things, apritevi una New Coke e dateci un ascolto.

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