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M. Ward – Migration Stories

2020 - Anti- Records
indie / folk

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Tracklist

1. Migration of Souls
2. Heaven's Nail and Hammer
3. Coyote Mary's Traveling Show
4. Independent Man
5. Stevens' Snow Man
6. Unreal City
7. Real Silence
8. Along The Santa Fe Trail
9. Chamber Music
10. Torch
11. Rio Drone


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Le storie di migrazioni contemporanee si tingono di colori folk, calorosamente umani.

“Migration Stories” è il decimo album in studio del songwriter americano M. Ward. La sua ventennale carriera giunge ad una tappa matura, rilasciando un tipo di sound savio e introspettivo. Lo storytelling all’americana di Ward deve essere ascoltato quando ci si trova a stretto contatto con i propri pensieri, nella quiete di un trip on the road, nel silenzio della nostra casa oppure nella solitudine di un letto di ospedale.

Credo che M. Ward abbia imparato ad essere connesso ad una predisposizione emotiva proprio quando abitava ancora nella contea di Ventura, in California, e insegnava a leggere ai bambini dislessici ricoverati in clinica. In quegli anni la chitarra classica era la sua migliore amica. Uno strumento che gli avrebbe poi permesso di raccontare in musica le storie degli uomini e delle donne che abitano questa terra. Negli 11 brani delle “storie di migrazioni” ci sono i racconti delle persone che si sono spostate e ancora si spostano sia sul territorio che attraverso le classi sociali. Il “migrare” non deve essere inteso solo come uno passaggio da un luogo a un altro, ma anche come un cambiamento esistenziale. Attraversare la vita da migranti vuol dire percorrerla per davvero, raccogliendo in un bagaglio a mano i pezzi di tutte le vite degli altri.

La strada della carriera artistica di Matthew Stephen Ward (questo è il suo nome per esteso) ha visto la pubblicazione di nove album in studio da solista e cinque con la band She & Him. Nel mezzo troviamo anche l’avventura con i Monsters of Folk e il rilascio di due EP in solitaria.

Il personale manifesto di espressione musicale arrivò nel 2005 quando Ward pubblicò l’album Transistor Radio, dedicato alla celebrazione delle vecchie radio americane. Dopo aver dato dei contorni precisi al proprio sound, Matthew iniziò una serie di collaborazioni che sarebbero diventate per lui occasione di contaminazione, apprezzamento reciproco e ispirazione bidirezionale. Si tratta di un periodo artistico che fa da collante, da filo rosso per la tradizione musicale americana, intenta a scrivere il futuro del sound d’oltreoceano. Tra il 2005 e il 2006, infatti, coinvolse Lee Ranaldo dei Sonic Youth e Sufjan Stevens  nel progetto di un album tributo per John Fahey intitolato I am the Resurrection. E quasi in contemporanea partecipò all’album Z dei My Morning Jacket. Incontrò anche Norah Jones, prestandosi come corista e chitarrista nel suo brano Sinkin’ Soon. Inoltre la cover di Ward del brano Let’s Dance di David Bowie venne inserita nella colonna sonora del film Eagle vs Shark (del 2007). E infine, dopo aver conosciuto l’attrice e cantante Zooey Deschanel,fondò insieme a lei il duo She & Him.

Oggi M. Ward può vantarsi di aver tenuto in piedi la tradizione folk statunitense, ritornando sulla scena discografica con un progetto celebrativo, storico e timidamente innovativo.

Per addentrarci al meglio in questo viaggio, dobbiamo partorire una forma mentis congeniale al caso. Allora facciamo finta che siamo in viaggio in macchina, di notte, per le autostrade solitarie del Nevada. Le nostre sono ore immerse in pensieri e musica. La solitudine ci fa compagnia, dandoci quelle risposte dello spirito che aspettavamo da tempo.

Il film di “Migration Stories “ inizia con i riverberi vocali del brano Migration of Souls. Siamo nella nostra auto ammaccata, la radio manda in sequenza brani folk per la programmazione notturna. La chitarra culla l’andamento del percorso mentre la voce echeggia attraverso l’altoparlante dell’abitacolo. Quante anime stanno migrando in quel momento? Quante sono ancora in giro, coperte da un tetto di stelle e buio profondo?

In Independent Man un ammaliante sexy sax fa compagnia alle morbide note della batteria. La voce di Ward entra graffiante nel brano. Calda e familiare, trasforma subito la narrazione in un racconto intimo. Sono parole che vengono dalla pancia di un saggio cantastorie. Un uomo in solitaria si siede al centro di un palco, pizzica con eleganza le corde della sua chitarra, tiene lo sguardo basso, gli occhi socchiusi. Non guarda davanti a se. Si racconta senza uscire dalla propria memoria.

Stevens’ Snow Man è una classica ballata americana, una track country e alt fok, romantica e onirica. I giri di chitarra volteggiano sotto il tocco delle dita per incantare un piccolo pubblico da club.

Unreal City si tuffa per pochi minuti in una bacino di elettronica. I synth rendono polifonico il riverbero vocale. Un nenia drop si esprime in sottofondo. Le vibrazioni delle corde stridono nel silenzio irreale, costruito per trasportarci in una dimensione ruvida ma accattivante. 

Torch racchiude tutte le caratteristiche principali di questo album. Il folk country si mescola all’alt-rock in una ballad dai toni introspettivi. La voce di Ward sembra davvero giovane, fresca. Non è  appesantita dagli anni. Si esprime in un canto morbido che fa da placebo per il nostro sonno. “Heart beats in rhythm to its own”, canta nel ritornello e, a ripresa, intona un “ba ba ba pa”  innocente e spensierato.

“Migration Sories” è un disco che si fa capire bene a partire dalla sua copertina. Un’immagine della city vista dall’alto, esplode di luci urbane abbaglianti e stelle del firmamento che sembrano voler cadere sulla terra. Le storie degli uomini, di quelle souls migranti che fanno andare avanti il Mondo, mettono d’accordo il cielo e il ground, in una notte illuminata e sospesa. La natura sta a guardare i nostri passi, le gambe si affaticano per dare il passo a quelle “Migration Stories” che, prima o poi, toccheranno le vicende di ognuno di noi. I racconti urbani appartengono al popolo globale e sono indispensabili per assimilare il segreto dell’essere vivi.

Al songwriter tocca solo il compito di raccontare, di tradurre in musica quelle storie. E questo M. Ward lo sa. Perciò, giunto al suo decimo album, non si allontana in maniera esagerata dalla sua dimensione musicale. Crede che sia più giusto produrre un sound commemorativo, tradizionale, contornato da slanci alternativi. Per Ward si tratta di una tappa raggiunta e attesa, una tappa che arriva nella carriera di ogni artista che sfiora i venti anni di produzione.

I critici lo chiamano l’album della conferma. Noi lo accogliamo come l’album della consapevolezza “forse involontaria”.

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