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Back In Time

“Exile On Main Street”, una colata di magma eclettico e inarrestabile

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Giù il capello Gentlemen, perchè siamo dinnanzi ad un capolavoro ! Stiamo parlando di “Exile on Main Street”, l’album degli Stones pubblicato nel 1972 e che all’uscita incontrò un’accoglienza decisamente “tiepida” da parte della critica, quella stessa critica che unanime oggi parla di “Apporto fondamentale alla storia del Rock”, “Pietra miliare”, “Autentico capolavoro”. 

Come è potuto accadere che un lavoro artisticamente complesso, capace di fondere magistralmente rock, blues, country, black music e sonorità tribali, venisse considerato dagli stessi fan della Band come un un album “sottotraccia”, fondamentalmente irrisolto? Vediamo di considerare i fatti nel loro insieme. “Exile on Main Street” viene dopo una serie ininterrotta di opere magistrali; pensiamo, andando a ritroso, a “Sticky fingers”(1971), “Let it Bleed” (1971), “Beggar’s banquet” (1968), tutte opere che, sebbene differenti una dall’altra, recano bene in vista e facilmente riconoscibile da tutti al primo ascolto, il marchio Stones, in primis la voce di Jagger

Photo: Lynn Goldsmith

Nei brani che compongono il doppio album uscito nel maggio ’72 invece, Mick e la sua voce vengono risucchiati nel magma sonoro che scorre lungo i solchi; ed è un magma inarrestabile, dalle sonorità primitive, tutt’altro che rifinite, ma proprio per questo musicalmente potenti, inarrivabili, uniche. Ancora oggi ,riascoltando tracce come Tumbling Dice, Sweet Virginia, Ventilator Blues (ma lo stesso discorso può valere per tutti i 18 brani che compongono l’album) non si può non rimanere colpiti dalla forza di questa musica, capace di saccheggiare i generi più diversi per trasformarli in qualcosa di assolutamente originale, in un capolavoro per l’appunto! Non c’è in questo album una primadonna assoluta ( Jagger), ma tutti, attori principali (Keith Richard , Mick Taylor in primis) e comprimari ( Billy Preston su tutti) contribuiscono a costruire un sound grezzo, spigoloso, a tratti irrisolto, ma che è MUSICA senza necessità di ulteriori aggettivi o paragoni. 

La copertina stessa, opera del fotografo Robert Frank e dei grafici Norman Seeff e John Van Hamersveld, sembra studiata per spiazzare: dimentichiamoci l’iconica immagine griffata Warhol di Sticky Fingers, qui ci troviamo dinnanzi ad una caotica composizione di foto in bianco e nero (le foto dei Rolling Stones sono presenti solo sul retro) e il titolo riportato a pennarello rosso in alto a destra; in realtà, a ben guardare, un autentico biglietto da visita di ciò che ci attende. 

A tutto questo dobbiamo aggiungere le vicende personali del gruppo, rifugiatosi in Francia per sfuggire a controversie giudiziarie e di natura fiscale. Tutti i componenti della Band, chi più chi meno ( e Keith Richard era, per sua stessa ammissione, tra i “chi più”) facevano in quel periodo largo uso di alcool e sostanze stupefacenti. Il quartier generale del “Cyrcus Stones” era Nellcote, una villa nobiliare nei dintorni di Nizza; qui il gruppo aveva allestito uno studio di registrazione e vi erano convenuti amici e collaboratori, musicisti del calibro di Bobby Keys, Nicky Hopkins, il già citato Billy Preston. A costoro, tutti accreditati, la leggenda aggiunge anche il nome di Gram Parson, amico fraterno di Keith. Insomma riuniti nello stesso luogo alcuni dei talenti migliori della scena musicale degli anni’70, e tutti provenienti da generi diversi! 

Il rischio era quello di mettere insieme un album musicalmente frammentato, incoerente, indigeribile. Si inizia a comprendere per quale ragione, alla sua uscita, “Exile on Main Street” suscitò più d’una perplessità: il linguaggio musicale era talmente inusuale da risultare spiazzante. Eppure Il tempo diede ancora una volta ragione ai Rolling Stones: “Time is on my side”.

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