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MUORI DELAY: i 30 migliori dischi post-rock di sempre

Nel maggio del 1994 Simon Reynolds utilizzò per la prima volta il termine post-rock nel numero 123 di The Wire. Si parlava di “Hex” dei Bark Psychosis. Sono passati 26 anni, e ad oggi non è definitivamente chiaro cosa in realtà significhi post-rock, e forse nemmeno Reynolds aveva bene in mente cosa avrebbe scatenato.

Dopo il rock, ma il rock c’era ancora e non è mai morto, nonostante i funerali celebrati a più riprese negli anni. L’idea di fondo era quella di una destrutturazione del rock e della sua forma canzone in genere, una riduzione di 40 anni di storia della musica alla forma embrionale per poi tirare una linea rossa e guardare oltre, creare qualcosa di fondamentalmente nuovo. Non un genere preciso, dunque, ma una linea di pensiero comune ad una certa ala progressista del rock.

Da lì si è andati a ritroso, infilando sotto un ombrello gigante una nutrita e variegata schiera di band ed artisti venuti più o meno prima, e che in un modo o nell’altro questa cosa in testa ce l’hanno sempre avuta. Si è fatta in realtà anche una discreta confusione, mescolando in un unico calderone realtà di ogni tipo: dagli Slint ai Talk Talk, dagli Squirrel Bait a, perfino, Captain Beefheart. In fondo, però, il post-rock nasceva come approccio rivoluzionario e libero, e una categorizzazione così libera e ampia non solo era prevedibile, ma anche inattaccabile. È l’essenza del progressismo, che raccoglie tante e diverse visioni, per cui non si può sbagliare, né avere ragione del tutto. 

Nei fatti però, dalla fine degli anni ‘90 e lungo tutto il decennio dei 2000, il post-rock si è canonizzato, cristallizzato in una forma riconoscibile, imitabile e ripetibile. Pur mantenendo ancora una certa varietà negli stili e negli approcci, oggi sono chiari e ben noti gli elementi che già ad un primo ascolto di un brano post-rock ci fanno pensare “questo è un brano post-rock”. Non prendetela come un’accezione negativa, nè come un tradimento delle premesse iniziali: ogni movimento culturale che si rispetti, d’altronde, una volta che viene definito, si normalizza, si appiattisce su regole, canoni e artisti di riferimento che ne danno una forma tangibile e trasmissibile. 

Il post-rock non è dunque un rock nuovo, un rock dopo il rock, ma un’idea diversa di rock che punta più sull’emozionalità che sulla fisicità nel contesto di un’opera di astrazione della sintassi classica sempre aperta alla contaminazione e alla sperimentazione. Non sono pochi i dischi meravigliosi che hanno contribuito a costruire l’idea che del post-rock abbiamo oggi: a volte sono opere innovative, altre volte dei culti intransigenti, altre volte altre ancora degli splendidi esercizi di stile. Tutti però hanno in comune una cosa: il saper toccare le corde dell’anima in una maniera immediata e coinvolgente.

Ecco perchè abbiamo pensato di stilare una classifica dei 30 migliori dischi post-rock di sempre, che se  volete è una sorta di guida all’ascolto che non può prescindere da questi capisaldi.

Nota: si parte proprio da quel 1994, un solo disco per band, giusto per rendere le cose più complicate e divertenti.

30. Hope The Flowers – I Miss You (2017)

Il post-rock è un linguaggio universale, lo sappiamo: poteva mancare per iniziare questo viaggio un disco proveniente dalla Thailandia? Gli Hope The Flowers sono bravi, hanno studiato e questo è un disco pulito e appassionante. Un concept album su di un uomo che vive una doppia vita, viene scoperto dalla moglie e per punizione è costretto ad ascoltare post-rock per tutta la vita. No dai, scherzo. Quest’ultima parte è falsa.

29. Hrsta – Ghosts Will Come And Kiss Our Eyes (2007)

Composizioni scure e sinistre, dal sapore neanche troppo velatamente noir, tante influenze, dal kraut, al noise, all’elettronica. Non tutto è perfettamente a fuoco, ma il disco – che usciva neanche a dirlo per Constellation – è una sorta di discesa lenta negli inferi e merita almeno un ascolto.

28. Tristeza – Spine And Sensory (1999)

Una bella combinazione di atmosfere tra la new age e il post-rock nello strano esordio di questa poco conosciuta band di San Franscisco. Tristeza di nome, ma non di fatto.

27. Yndi Halda – Enjoy Eternal Bliss (2007)

Listato come EP, anche se dura più di un’ora, l’esordio della band di Canterbury all’epoca fece gridare al miracolo. In realtà, non è niente più che un piacevole esercizio di stile, un esame di post-rock compatto e copioso superato a pieni voti. 

26. Jeniferever – Spring Tides (2009)

Particolarità di questa band svedese è l’uso del cantato, protagonista al pari degli altri strumenti, cosa non da poco. Ricco di suggestive cavalcate elettriche, questo disco è un po’ la declinazione in chiave post-rock della produzione degli American Football. Non essenziale, ma bello. 

25. Balmorhea – Constellations (2010)

Come i Rachel’s diversi anni prima, anche il progetto di Michael Muller e Rob Lowe, affonda le radici nella musica neo-classica. Sicuramente meno sperimentali, i Balmorhea operano una continua rimescolazione degli elementi neo-classici nelle strutture del post-rock. Questo disco, il più breve e il più bello (potete vederci una correlazione), è un esempio perfetto.

24. Hammock – Departure Songs (2012)

Musica meditativa quella del duo di Nashville, il post-rock al servizio dell’ambient e viceversa. Un doppio album di quasi due ore dedicato allo smarrimento, al senso di perdita, a quella sensazione di sospensione tra la vita e l’esistenza ultraterrena. Tutto un programma, eh? Eppure, non so bene come, scivola via che è un piacere e ci trascina tra le nuvole.

23. Neil On Impression – L’oceano delle onde che restano onde per sempre (2009)

Piano, violino e violoncello, chitarre, fisarmonica, basso, batteria, sax, tromba e sintetizzatore: post-rock sofisticato, ricco ed emozionante direttamente da Forlì, ad oggi pressochè sconosciuto, ma che all’epoca colpì e non poco la Denovali Records. Il motivo è semplice: è un disco bellissimo.

22. Rachel’s – The Sea And The Bells (1997)

Classica moderna con attitudine post-rock e noise, questo dei Rachel’s è il disco più sperimentale di questa classifica. Una vera e propria operetta di musica da camera ispirata all’omonima opera di Pablo Neruda, dedicata al mare e ai naviganti. Una traversata quieta e appassionata, tra strumenti classici e altri più tipicamente rock, difficile da affrontare, ma che alla meta vi lascerà piacevolmente sopraffatti.

21. Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo – #2 (2001)

Con i Giardini Di Mirò sono i custodi del post-rock all’italiana. I Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo hanno un approccio più cinematografico alla materia, e d’altronde i loro lavori sono stati spesso utilizzati e pensati per colonne sonore di film e spettacoli teatrali. Questo disco, il secondo in carriera, mischia sapientemente elementi elettronici ed acustici in un’atmosfera avvolgente e sinistra, ipnotica come quelle vecchie foto ingiallite di qualche decennio fa.

20. Cerberus Shoal – Homb (1999)

Un viaggio tra misticismo, tradizioni e sacralità lontana. Quella dei Cerberus Shoal è un’opera superlativa che viaggia sul sentiero del post-rock, ma lascia di sè tante tracce di ambient, rumorismo, drone music, etnofolk e mondi lontani da scoprire piano piano. 

19. God Is An Astronaut – All Is Violent, All Is Bright (2005)

I God Is An Astronaut si sono piano piano costruiti una delle nicchie più fedele tra il pubblico del post-rock. Questo disco, il secondo in carriera, è un manuale di post-rock, forse un po’ senz’anima, ma che sa che toccare le corde giuste, in bilico tra riflessioni ambient e esplosioni metalliche.

18. Zhaoze – Yond (2013)

Pressochè sconosciuta, se non ai più avvezzi del genere, l’opera dei cinesi Zhaoze è invece imperdibile. È un post-rock raffinato e diverso dal solito, accarezzato da una vena orientale e a noi sconosciuta, arricchita per altro dall’uso di tanti strumenti tradizionali cinesi. Sei tracce che emozionano davvero e che aprono una finestra suggestiva su un mondo diverso. 

17. This Will Destroy You – This Will Destroy You (2008)

I This Will Destroy You percorrono strade arcinote, ma, soprattutto in questo lavoro, lo fanno con cura maniacale, convincente e appassionata. I landscape della band texana sono prevedibili, presi in prestito dai più noti vicini di casa, ma talmente belli da essere un atto d’amore nei confronti del genere.

16. Pirate Ship Quintet – Rope For No Hopers (2012)

Provenienti da Bristol, accasatisi presso la tedesca Denovali, i Pirate Ship Quintet nel 2012 se ne uscivano con una gemma rara. Una rielaborazione in chiave post-rock del dark-jazz più scuro. Basso cupo, violoncello funereo, e si decolla su nuvole cariche di lacrime. 

15. Caspian – Waking Season (2012)

Sicuramente tra i migliori interpreti del post-rock contemporaneo, i Caspian sono artefici di un post-rock suggestivo e non banale, arricchito da elementi talvolta non convenzionali, dal dark-folk, all’indietronica, fino all’emo e al post-metal. 

14. Thee Silver Mt. Zion – He Has Left Us Alone But Shafts Of Light Sometimes Grace The Corners Of Our Rooms (2000)

Costola dei GY!BE, i Thee Silver Mt. Zion nascevano con lo straniante intento di unire tradizione folk e post-rock. Le loro canzoni sono spesso lacerate da voci strazianti e archi sinistri. Musica spettrale ed emotiva, da apprezzare in solitaria, nel buio della propria stanza. Un gioiello.

13. Tarentel – From Bone To Satellite (1999)

Un gioiellino triste quello pubblicato dai californiani Tarentel sul finire dei ‘90. Minimale e trattenuto, vicino per certi versi a certe produzioni slowcore, “From Bone To Satellite” è un disco che volutamente non esplode mai, non gioca sul classico contrapporre momenti di calma a incendi furiosi, ma punta ad emozionare tenendo il volume sempre al minimo. E ci riesce alla grande.

12. Disco Inferno – D.I. Go Pop (1994)

Manifesto della musica sincretista, “D.I. Go Pop” è un oggetto sonoro non identificabile. Una raccolta di suoni spaziali e loop in una struttura sonora che mischia post e math e che risulta difficilmente catalogabile. Forse davvero l’unico esempio di un approccio futuribile del rock. Una poetica aliena che purtroppo nessuno ha saputo ereditare. 

11. Do Make Say Think – Goodbye Enemy Airship The Landlord Is Dead (2000)

Con i Godspeed You! Black Emperor, con i quali per altro condividono un paio di membri, tra le punte di diamante della Constellation, etichetta simbolo del post-rock tutto. Qui siamo in un territorio ibrido, pieno di influenze jazz, kraut ed elettroniche. Quella dei Do Make Say Think è una musica riflessiva, più vicina ai Tortoise che ai Mogwai, e che forse non rivolta le budella come quella dei colleghi GY!BE. Ma questo disco, lungo e razionale, non ha comunque un punto debole.

10. Giardini Di Mirò – Rise And Fall Of Academic Drifting (2001)

Nessuno prima di loro aveva tentato in maniera così efficace una via italiana del post-rock, riuscendoci per altro perfettamente. Spuntarono fuori all’inizio inizio dei 2000 con questo nome da gruppo prog anni ‘80 e un disco sostanzialmente pazzesco. Molto Mogwai, certo, e non per niente furono subito etichettati come i Mogwai italiani, ma in fondo era uno splendido complimento. E poi un pezzo splendido come Pet Life Saver vale da solo il pezzo del biglietto. 

9. Godspeed You! Black Emperor – Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven (2000)

Monumentali e ingombranti, i GY!BE sono la band di culto per eccellenza nel panorama post-rock. Non sono per tutti, i loro dischi sono ambiziosi e difficili da assimilare, con un impianto quasi progressive. Sono una vera esperienza che si traduce in passione sfrenata o repulsione totale, niente mezzi termini. Questo disco, che è l’opera migliore della discografia dei 9 (sì, nove) canadesi, è un doppio lavoro composto da quattro lunghe suite divise in sezioni. La cosa vi spaventa? Ci sta. Ma sappiate che vi perdete un’opera anarchica ed epica, che divora tutti i canoni del post-rock per sputarli fuori in un’atmosfera scura e claustrofobica da accapponare la pelle. 

8. Labradford – Mi media Naranja (1997)

Altro disco ispirato al tema del viaggio. Stavolta però l’ambientazione sono i canyon sterminati e polverosi del centro degli Stati Uniti. Il trio proveniente dalla Virginia, in questo disco che è l’episodio più post della propria breve carriera, aveva bene in mente la lezione di Morricone. Un post-rock in salsa western, arricchito da elementi di elettronica e cosmic music. Un cammino lento ed estatico attraverso i deserti dell’anima. 

7. Dirty Three – Ocean Songs (1998)

Capolavoro della creatura di Warren Ellis: un concept album sul mare, in cui si sente l’eco di oceani sterminati ed onde quiete, ma sempre pronte a travolgere tutto e tutti. Post-rock strumentale senza alcun tipo di virtuosismo, che mischia blues, folk e country in un viaggio altamente evocativo. Protagonista assoluto è il violino dello stesso Ellis, obliquo, tagliente, che si infila sottopelle lungo lo scorrere del disco.

6. Bark Psychosis – Hex (1994)

Questo il disco da cui siamo partiti, questo il disco che ha sconvolto Reynolds, questo il disco a cui tutti nella scena sono un po’ debitori. Gli inglesi, comparsi all’improvviso da chissà quale altro mondo, sublimavano psych, avanguardia, musica ambientale e da camera con quell’approccio minimale e destrutturante tipico del post-rock. Una perla assoluta degli anni ‘90 che, fino all’inaspettato ritorno nel 2004, rimase la più luminosa delle meteore.

5. Mono – For My Parents (2012)

Ispirato al disastro di Fukushima dell’anno precedente, in “For My Parents” c’è tutto il tipico pathos nipponico, condensato in un post-rock tra i più splendenti degli anni Dieci. I giapponesi sono ancora oggi tra le espressioni più valide di un genere che stenta a ritrovare verve, e qui dimostrano completa padronanza dei propri mezzi, inserendo nelle loro lunghe suite un’orchestra di musica classica e diversi elementi delle composizioni e delle strutture classiche, senza per questo risultare di troppo. Forse meno iconico e completo del precedente “Hymn For The Immortal Wind”, ma più toccante. “Mentre ogni cosa continua a cambiare, l’amore per i genitori rimane costante attraverso il tempo”. Ora asciugatevi le lacrime.

4. Tortoise – Millions Now Living Will Never Die (1996)

La versione colta del post-rock: i Tortoise hanno mischiato kraut-rock, jazz, avanguardia, elettronica e post-punk e sono forse l’ultima, riuscita e più naturale espressione dell’ideale post-rock delle origini. Risultato di 10 giorni di full-immersion e di una line-up dal talento inestimabile (c’è anche David Pajo), questo disco è semplicemente unico. Suona alto e intoccabile, ma al tempo stesso se ne coglie uno spettro emozionale che lo rende accessibile e immediato. 

3. Sigur Ròs – Ágætis Byrjun (1999)

Sublimazione celestiale del post-rock, i primi Sigur Ròs sembravano provenire da un’altro pianeta. E in effetti, ai tempi, l’Islanda si poteva considerare tale. Fortissimamente ancorato alla propria terra, in cui caos e silenzio danzano mano nella mano, “Ágætis Byrjun”, nonostante le tante influenze che incorpora, suona universale e unificante, a dimostrazione che per toccare le corde delle emozioni non c’è un linguaggio prescelto.

2. Explosions In The Sky – The Earth Is Not A Cold Dead Place (2003)

Sono stati la primissima derivazione del genere, ma nessuno come i texani ha capito così bene cosa fosse il post-rock, come andasse pensato e suonato. Non è un caso se sono la band più apprezzata dagli appassionati del genere, al pari dei mostri sacri di tutta la faccenda. L’universo del post-rock coincide con quello degli Explosions In The Sky, e questo disco ne è la prova tangibile: essenziale, esemplare, travolgente.

1. Mogwai – Come On Die Young (1999)

Qui è dove tutto è cominciato: capi assoluti del post-rock, nessuno come loro ha contribuito a definire gli standard del genere come lo conosciamo oggi, stracciandoli e riscrivendoli quando ne avevano voglia o quando non ne avevano più. In questo disco c’è tutto il post-rock: melodia, emozione, sperimentazione, classicismo. In quell’equilibrio perfetto tra stasi e uragani si vedeva il futuro. Avanguardisti, ma senza la tipica spocchia, in due parole unici e perfetti. 


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