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Winterblut – Monotot

2020 - Nihilistische KlangKunst
black metal / experimental

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Tracklist

1. wenn die Ratten schlafen
2. monotot
3. lebaendigen
4. Ayam mysla al tawabeet
5. Aderlast
6. Köpfe mit Nägeln
7. Die Wahl der Qual
8. Gerausch
9. in verschlossener Gesellschaft


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Sul versante del Black Metal, la presenza di L’Hiver, artista tedesco del genere, è di lunga data; infatti la sua carriera solista comincia dal 1994 e questo sarebbe il decimo album in uscita, “Monotot”, mentre Winterblut si riferisce al nome del suo progetto solista. Egli ha inoltre lasciato il suo segno presso altre band (Nagaroth, Slaughter Command e Wolfthorn), ma il personale discorso sonoro è altra cosa, almeno a partire dal demo del 2000, “Promo 2000”, che si distacca dalle sonorità classiche del BM, volgendo ad una forma sperimentale, più dissonante e disarmonica, e distante anche dalle tematiche tradizionali d’esso, aprendosi ad argomenti quali la depressione e il suicidio.

La questione morale sul Black Metal sale alla ribalta a causa di quelle frange di estrema destra che sono affiliate al genere National Socialist Black Metal (NSBM) e alla loro caratterizzazione – rinvenibile oltre per i testi espliciti inneggianti al razzismo, all’olocausto e al nazismo, anche per alcuni forti episodi di violenza balzati alle cronache – a cui si intreccia la connaturale mitologia nordica, spesso agganciata alla saga dei libri di Tolkien, che renderebbe tale genere esteticamente accattivante, anzi questo fungerebbe da specchietto per le allodole, rappresentando una copertura capace di attirare dentro le sue ‘grazie’ ignari ed ‘ingenui’ appassionati da convertire poi alle brutalità dichiarate. Mah!

Un altro caposaldo del BM è l’anti-cristianesimo (insieme a paganesimo, folklore, satanismo, nichilismo, magia nera, natura, misantropia…) da cui deriva la pratica messa in atto da band scandinave di appiccare il fuoco alle chiese consacrate. Ovviamente questa non è la regola comportamentale che determina l’appartenenza al BM, che comunque si perde in una miriade di sottogeneri; piuttosto, come detto, vi sono frange esplicite del movimento, etichettato dalla corrente NSBM, che ne alterano la reale filosofia di fondo (proponendone appunto un’altra, d’accatto, che fa fede alla mala interpretazione di alcuni concetti insiti in essa, ad esempio i temi che riguardano sangue e patria, norrena); ma, sostanzialmente, la musica, se non si è a conoscenza dei testi e delle attitudini esternate delle varie band, esprime una similare connotazione di suono difficile da distinguere.  Evidente è che non si può fare di tutta l’erba un fascio!

Molti artisti BM hanno preso le distanze dall’ottica nazista, o ne hanno chiarito la posizione di estraneità, attraverso smentite pubbliche, e tra questi anche L’Hiver. Credo comunque sia importante da considerare il fatto che la maggior parte di coloro che ascoltino il Black Metal non lo facciano per una fratellanza ideologica votata all’estrema destra; perché il punto è proprio questo: il giudizio dei babbani (per dirla alla Harry Potter) oltre a gravare sulla riconosciuta pesantezza (musicale) del genere, pesa anche sull’incombenza dei luoghi comuni protesi a stigmatizzare l’ascoltatore a priori, ritraendolo quale soggetto deviato e di automaticamente appartenente all’estrema destra politica. A tal proposito, è di questi giorni la notizia che uno studente in musicologia si sia appena laureato con 110 e lode presentando la trattazione della tesi presso l’Università degli Studi di Pavia, al cui titolo: “Produrre l’impatto verso una definizione d’ascolto del Death Metal”.

Ora sappiamo benissimo che il Death non è il Black; ma è anche vero che il categorizzare talvolta è pure impresa ardua per discendenza e commistioni fra i due macro generi; quindi, questo lodevole studente, Gabriele Lazzerini (e lo so già che lo immaginate come il tipico topo da biblioteca, secchione e dall’aspetto nerd), musicista in varie band – Electrocution, Handful of Hate e Neurasthenia -, ha avuto questa magnifica idea di sdoganare, accolto dall’aperto mondo accademico culturale, il Death Metal. Qui la bella intervista rilasciata da Gabriele (a Francesco Bommartini) e i complimenti per il risultato ottenuto!

Ma ritornando al nostro Winterblut e al suo Monotot, ci soffermeremo sull’aspetto sonico delle tracce, che sono in verità abbastanza uniformi. Il discorso musicale si ascolta decisamente diffuso e quasi monocorde. Tessiture lunghe e dissonanti creano un primitivo BM dalle tinte monocrati, destinate a drappeggiare lo scuro manto, minaccioso e indifferente. L’angoscia è insinuata dalla voce che declama forse ancora un esistenzialismo che proviene da mondi subalterni, dalle profondità di lande, e a questi luoghi collegata come potrebbe esserlo una dimensione del non-vivente, esposta a quel dark decisamente molto annerito destinato ad una sublimazione della sofferenza.

Lebaendigen scuote l’afflizione ed il dolore abitando un senso minimal wagneriano, il tremolo picking delle corde trasla l’entità dei viventi e la riafferma per assurdo; eppure un contatto flebile con essa è rintracciabile.
Winterblut affida tutto al senso drammatico che si sviluppa dallo scenario da oltretomba, statico e mobile come la nebbia, che transita sempre uguale in una nera foresta illuminata dalla scarna luna oscurata dalle nuvole.

Ayam Mysla Al Tawabeet (dall’arabo, I giorni rappresentavano le bare) strappa qualcosa alla disperazione più nera e il suono si insinua in una immaginaria soundtrack dell’anima rifugiata ai margini della concezione trasmigratoria. Una sorta di purgatorio monacale. Ammiccando ad un Black Metal Shoegaze, Aderlast non scioglie alcun nodo, afferma che è musica di transizione, sfiorando rituali e celebrazioni. Ascoltando, si permane nelle zone d’ombra dello spirito; le tenebre a dismisura coprono ventose distese spoglie e umide, fredde, e tutta una filosofia palesata mira a piegare al suo volere lo Sturm und Drang, la guerra tra nobilitazione e degenerazione, che si polverizza dentro il mesmerismo, quel sonno magnetico, estendendosi al finale atto non vitale, ma originario, traversando codesto campo d’azione sterminato che conserva un’ultima volontà d’affermazione, sigillata dalle punzonature della sezione ritmica che trova la sua adatta e duplice funzione ambientale: si fa cornice ed atmosfera, mentre alle chitarre è dato il compito di affrontare lo straziante dissidio crepuscolare: Die Wahl Der Qual.

Decisamente lontano pure dai tedeschi Pest e dal francese Darvulia, se si volesse fare un accostamento, ma certo volto ad esplorare come loro elementi vergini del Black Metal. Concludiamo col segno grafico della copertina, manifesto poetico di uno spirito che si rispecchia in esso, ammiccando alle oscurità di Rothko, forse ancora troppo pallide per “Winterblut“.

P.S. Appena apposto il punto di FIN sulla recensione, ricevo una chiamata da un numero fisso sul cellulare, un tizio si propone dichiarandosi non un venditore e mi chiede il permesso di leggermi un brano estratto dalla Bibbia; desisto dal suo proposito: cose dell’altro mondo…

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