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Diego Potron – Ready To Go

2020 - Rivertale Productions / Femore Prod
blues / folk

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Tracklist

1. Get Out Your Voice
2. It Is Preferable Not To Travel With A Dead Man
3. Mooreland #2 (A Song About Lies)
4. Mr. Choppy
5. Stayin' Alive
6. The Last Heart Beat
7. This Time
8. Two Brothers
9. While I Sleep My Bitch Plays Bo Diddley


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Registrato al Red Maple Studio tra la fine del 2019 e l’inizio dell’anno del signore 2020, nel giro di venti giorni poco prima e a cavallo della pandemia che ha cambiato la vita a mezzo paese, “Ready To Go” è espressione diretta di una doppia etica: da una parte quella dell’one man band che tutto può e tutto suona, e dall’altra quella del DIY tipica delle produzioni punk che tutti noi conosciamo.

Questo disco è un ulteriore tassello nella discografia di uno dei blues man nostrani più apprezzati che continua il lavoro stilistico cominciato con “Winter Session”, lungo un solco di musica americana/folk dalle venature dark e la cui ispirazione va cercata negli spiritual tradizionali e nelle canzoni afroamericane più folk. E alla fine, quello che giunge alle nostre orecchie è una miscela di blues e R’n’R , sporca e trascinata, che scava in un terreno scuro e introverso, con una chitarra, qualche percussione e un piano saggio e composto. Alla ricerca di una via d’uscita dall’amarezza di questo mondo.

“Ready To Go” si compone di dieci brani, otto originali, una rilettura e una cover sorprendente. Dieci pezzi che conducono l’ascoltatore in un mondo dove la sopravvivenza è lotta, dove nessuno regala nulla e il deserto è là fuori. È un disco interessante, dalle atmosfere raccolte, che per essere meglio apprezzato va inserito in una doppia cornice. Da un lato l’evoluzione personale dell’autore e il percorso che lo ha condotto fino a questo punto, dall’altro l’appartenenza a un genere che è tipico, codificato, e che nelle sue versioni più prossime alle radici si discosta profondamente dalla musica mainstream. E con la sua tuta da lavoro in denim, il cappellino da camionista, fin dal primo sguardo Diego Potron rimarca perfettamente tutti gli archetipi della musica blues e al contempo la sua lontananza dalla musica di facile ascolto.

La realtà, i sogni e le ingiustizie: raccontare diventa fondamentale per resistere, ma d’altra parte resistere è necessario per raccontare. Queste canzoni parlano della vita e dei suoi attimi che non possono essere accelerati, saltati o rimandati indietro; non si fugge dal destino, ma lo si vive a denti stretti quando va male e con gioia irrefrenabile quando va bene, all’ombra di un acero rosso nel proprio giardino di casa. Comunque poca gioia, non fatevi troppe illusioni. Volete riferimenti? Nick Cave, Tom Waits, Duke Garwood e Mark Lanegan. Una punta di Pink Floyd (di quelli del penultimo periodo) e qualche goccia di Doors. E poi la visione di Dead Man di Jim Jarmush e l’ascolto della colonna sonora composta da Neil Young in un (gran lavoro) di improvvisazione aiutano a capire molto di questo disco, del perché così tanta polvere vi possa coprire il viso e impastare la bocca.

Della sporca decina di brani che trovate nel disco punterei l’attenzione su un quartetto. Intanto la rilettura di cui parlavamo sopra, ovvero Diving Duck Blues, tradizionale del 1929, che qui potete gustare in una variazione desert, tanto che potrebbe tranquillamente essere un outtake acustico di uno qualunque dei volumi delle Desert Session di Homme & co. E poi: se il fiume fosse whisky, sarei un’anatra che si immerge. Evocativa come immagine, no? Poi c’è la canzone per bambini, che nasce per bambini e quando arriva alla fine è un po’ meno per bambini: Mr. Choppy racconta di un taglialegna che vuole aiutare i piccoli in difficoltà e che alla fine finisce per tagliare più di una testa, con il grottesco che prende il potere. E nel frattempo Gianni Rodari è fuggito da un pezzo, a gambe levate. Il terzo brano degno di nota dell’album è Mooreland #2 (A Song About Lies), quello che si discosta di più dal corpo del disco (tra l’altro il preferito di Potron). Si tratta di un pezzo tratto da un futuro concept sulla brughiera, come luogo dell’anima e non solo dello spazio, con ambientazioni da racconto alla Stephen King ed Edgar Allan Poe, un solido caratteristico gotico americano.

E se il buongiorno di vede dal mattino, sembra proprio un lavoro molto, molto interessante che potrebbe essere caratterizzato da un suono più personale, quindi più maturo e originale. L’ultima del quartetto dei migliori è la cover e se mai avrebbe dovuto esserci brano meno adatto, almeno così a occhio, avrebbe dovuto essere questo. Mr. Deadman rifà Stayin’ Alive dei Bee Gees, estraendone tutto l’umore nero: un inno alla gioia al rallentatore, danzato sotto l’albero degli impiccati e che nonostante questo riesce a  mantenere buona parte dell’anima dell’originale. 

I brani rimanenti si inseriscono perfettamente a corollario delle scelte di Potron e i quasi mille concerti tenuti negli ultimi dieci anni si sentono tutti, nella sua capacità di affabulare e intrattenere, di raccontare una storia, per quanto essa possa essere scura. Two Brothers parla di due fratelli e della loro vita, dalla spensieratezza dei primi anni fino alle difficoltà della vecchiaia. È un brano spoglio, lo è per le difficoltà trovate al momento dell’arrangiamento ed è per questo motivo che Potron ci si è affezionato. In Get Out Your Voice riconoscerete un accenno ai Pink Floyd, la stessa aria di rassegnata disperazione di due soli al tramonto e di un uomo che fatica a vedere un futuro tranquillo. While I Sleep, My Bitch Plays Bo Diddley ha una storia particolare e divertente: è un sogno del nostro bluesman nel quale il suo cane suonava il basso in una band di cani (ma non sono I Cani).

Mentre It Is Preferable Not To Travel With A Dead Man racconta di un funerale: quello del protagonista, dell’uomo che suonava electro-voodo, una musica decisamente più ruvida e ritmata, più simile allo stoner. Ora, dopo dieci anni in giro per l’Italia e per l’Europa, quasi mille concerti, quell’uomo non c’è più, ce n’è un altro che suona chitarra, ukulele, stomp box e loop station, è sempre un one man band, ma ora fa canzoni per bambini. Anche. Quello di prima lo trovate a questo indirizzo: “Electro Voodoo (Afro Epilettoid)”, Diego Deadman Potron, anno 2013. Ve lo consiglio. 

Lascio per ultima la questione minimo comune denominatore di ogni disco, anche se la risposta alla più banale delle domande, non è per nulla banale. È un bel disco questo? (nel senso di uno di quelli così belli che per comprarlo mi precipiterei nel cuore della notte per aspettare l’apertura del mio negozio di dischi preferito, che però ormai non esiste più da un pezzo). Questi dieci episodi, come preannunciato, raccontano di un cammino dentro territori folk dai toni oscuri, di un alternative country legato alla tradizione e con influenze dal roots rock e dal country. Le parti elettriche sono scarnificate e il pianoforte, affidato ad Alessio Capatti, è l’unico strumento che non suona nelle mani del protagonista.

I testi si avvicinano a un recitativo, profondi e rauchi permettono immediatamente di calarsi in atmosfere intime. È un bel disco, di buon ascolto, di certo non uno di quelli che cambiano il corso della musica, ma che in prospettiva avrà un significato via, via maggiore. Certo, il significato di cui parliamo sarà soprattutto per l’autore perché “Ready To Go” è una tappa intermedia, necessaria, di un percorso evolutivo più lungo che potrebbe, però, condurlo a grandi traguardi; ma detto questo, è una sintesi più che buona di questo tipo di musica, e merita di essere ascoltato.

Concludiamo dicendo che “Ready To Go” è stato prodotto da Rivertale Productions in collaborazione con Femore Prod., ed  è stato masterizzato da Lorenzo Caperchi. L’etichetta è Ammonia Records e la versione digitale contiene l’artwork, i testi di ogni singolo brano, un video realizzato da Francesco Collinelli e una bonus track. Buon ascolto. 

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