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Happyness – Floatr

2020 - Infinite Suds
indie rock

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Tracklist

1. title track
2. Milk Float
3. When I'm Far Away (From You)
4. Vegetable
5. What Isn't Nurture 
6. Bothsidesing 
7. Undone
8. Anvil Bitch
9. Ouch (yup)
10. (I Kissed the Smile On Your Face)
11. Seeing Eye Dog


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Pensate all’Inghilterra degli anni Dieci e alla musica rock: che cosa vedete? Un’isola tormentata dalla Brexit, in cui prosperano i nuovi paladini del post-punk, che aizzano le working-classes a voce grossa ammazzandosi di birra in lattina? Lo so, è facile inciampare in stereotipi. Ma accantonate per un istante i vari Idles e Sleaford Mods, perchè voglio presentarvi gli Happyness: un duo “anomalo” per l’Albione contemporanea, timido e sensibile, con la testa fra le nuvole, che si nutre di attitudine slaker e awkwardness anni Novanta.

Il loro secondo album, “Floatr“, arriva a tre anni dal debutto “Weird Little Birthday” (2017) e chiude un lungo e tormentato capitolo nella breve storia della band, che ha dovuto affrontare la partenza del chitarrista e co-fondatore Benji Compston e l’outing del batterista Ash Kenazi, promosso ora al ruolo di drag-queen frontperson a fianco del bassista e cantante Jonny Allan. Insomma, per metterla a modo loro, questi sono stati “the best and worst years of our lives”. La buona notizia è che l’appeal della band di Londra sembra essere uscito intoccato dalla tempesta.

L’introduttiva title track ci sorprende subito con una crescendo orchestrale da brividi, la cui coda strumentale non sfigurerebbe in “Deserter’s Songs” dei Mercury Rev (1998). I controcanti della successiva Milk Float confermano poi l’impressione che ci aveva lasciato lo scorso LP: gli Happyness sono indubbiamente discepoli di Stephen Malkmus, al punto che il sound della band è stato più volte paragonato dalla critica a quello dei primi Pavement per via della combo chitarre sghembe / testi astratti ed ironici recitati come pseudo-filastrocche. Basta un minuto dell’irresistibile singolo Vegetable per rendersene conto:

A vegetable
Is counting the days
But it’s all a spectrum
Invading the space
And I get knocked up
But I get down again.

La più grande influenza di “Floatr” sembra però essere Elliott Smith, il cui spettro appare diverse volte nel corso del disco, talvolta tutto solo (Undone), talvolta accompagnato dalla sei corde di J Mascis (negli assoli di Vegetable e Ouch (yup)). Più ci immergiamo nell’ascolto, più ci rendiamo conto che gli Happyness hanno deciso di riesumare l’intera combricola di lo-fi heroes degli anni Novanta: gli Sparklehorse nell’eterea ballata al pianoforte When I’m Far Away (From You), i The Radio Dept. e i Teenage Fanclub nei leggeri riverberi di Bothsidesing, gli Wilco nei delicati arrangiamenti di What Isn’t Nurture e soprattutto i Built To Spill in Anvil Bitch e Seeing Eye Dog, due piccoli capolavori destinati a fare breccia nel cuore di chiunque soffra la mancanza di “Perfect From Now On” (1997) e “Keep It Like A Secret” (1999) da Spotify.

Floatr” non è nulla di rivoluzionario, per carità. Tuttavia, se siete alla ricerca di qualcosa di cool e zuccherino, gli Happyness sono decisamente la band che fa per voi. In un momento nella storia della musica in cui tutti sembrano riaggiustare le proprie pelli su “gated reverb” e riconvertire le proprie chitarre in sintetizzatori, mostrare il dito medio alla spacconeria degli anni Ottanta per abbandonarsi alla vulnerabilità degli anni Novanta è una scelta che ci sembra giusto celebrare. D’altronde i Pavement ci avevano avvisato: se c’è qualcosa che si fatica a mettere in quarantena, quello è il passato…

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