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“Down On The Upside”, uscire dal giardino del suono per fare la storia

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Down On The Upside” è un disco dei Soundgarden, questo basta per descriverlo. Stessa grinta di sempre, stessa voglia di mantenere i livelli altissimi di qualità musicale e testuale con la spontaneità dimostrata fino a questo momento della loro carriera, stessa motivata necessità di non deludere. Certo, è senz’altro diverso rispetto agli esordi, a quei tanto amati esordi che ha reso il nome della band di Cornell e co. insuperabile; ma diverso non è sinonimo di scadente, si sa, le band cambiano per necessità e cambiando danno talvolta prova della loro qualità nella versatilità. È Il disco che raccoglie il successo planetario del glorioso “Superunknown“, pubblicato due anni prima, e che ne rappresenta un degno erede, fedele nella forma e richiamante la sostanza, in cui si raccoglie a piene mani quanto finora seminato per riseminarlo ancora una volta per avere come risultato un raccolto doppiamente godurioso.

Quinto dei sei dischi in studio della band di Seattle ma ultimo se si considera lo scioglimento avvenuto l’anno successivo la sua pubblicazione. Su “Down On The Upside” di commenti ne sono stati fatti tanti e di diversa natura, molta è stata l’incomprensione che ha aleggiato attorno ai brani del disco che non ha avuto, difatti, i risultati del suo predecessore. Probabilmente perché l’aspettativa era al tempo assai alta considerando l’ondata trionfale di “Superunknown” che ha ufficialmente consacrato il gruppo appioppandogli margini di notorietà fino ad allora lasciati incompleti.

Si dice che la fase compositiva del disco sia stata particolarmente ardua a causa dei continui disappunti tra Chris Cornell, voce storica del gruppo, e Kim Thayil, chitarrista: la propensione verso una direttiva più soft dei suoni del primo ha trovato completa disapprovazione nella visione del secondo che ha invece insistito per rientrare nella zona sicura precedente a “Superunknown“, quella del periodo heavy dei primi tre dischi. L’album è stato difatti composto per buona parte dal solo Cornell (col contributo del bassista Ben Shepherd in numerose canzoni), mentre Thayil si è dedicato alla composizione di un solo brano, Never The Machine Forever (il “timbro” del quale è anche abbastanza riconoscibile considerando il tiro molto veloce e aggressivo).

Effettivamente è percepibile senza difficoltà il cambio di rotta, i suoni non sono certamente quelli di Louder Than Love o di Badmotorfinger, non appaiono grezzi né conturbanti. Anzi, si opta per un livello di sperimentazione strumentale, finora del tutto assente, in Down On The Upside“: fanno capolino chitarre acustiche, un piano elettrico in Overfloater e Switch Opens, un sintetizzatore in Applebite, un banjo in Ty Cobb. Ed è proprio questo mix di strumentazioni insolite che fa sì che la critica deponga a favore della svolta soundgardiana. Checchè se ne dica, intenerimenti di suoni e consequenziali sfavori a parte, dentro questa quinta chicca firmata Soundgarden c’è davvero tutto: ci sono i chitarroni e i vocioni che si tengono stretti senza tradirsi (nella già menzionata Never The Machine Forever), le strane ritmiche che non tutti possono permettersi (in Never Named), c’è la rabbia dei nineties (nell’ouverture Pretty Noose), la bellezza delle ballad nervose ma suadenti (in Blow Up The Outside World) e sicuramente la palesissima e impossibile da non cogliere voglia di restare alla storia, cosa su cui, di certo, i quattro di Seattle non si sono mai smentiti.

Nonostante siano trascorsi ventiquattro anni dalla sua pubblicazione, e dico ventiquattro, “Down On The Upside” continua a lasciarsi dietro di sé quello strascico di particolarità che mai stanca, è sempre piacevole lasciarsi coccolare dalla rude gentilezza di opere di questo calibro. E lo dico per tanti motivi ma principalmente perché dalla meraviglia degli anni Novanta “non si esce vivi” e un disco del genere ce lo ricorda sempre, ad ogni ascolto. Ci ricorda quanto sia stato fondamentale Chris Cornell, e la scena di Seattle tutta, e quanto sia tutt’ora, a distanza di tre anni dalla sua dipartita, incolmabile il solco che la sua assenza ha lasciato.

Approcciarsi a “Down On The Upside” svestiti della convinzione che abbia sovvertito il mito dei Soundgarden, snobbandone quindi il cambio di rotta, rappresenta l’atteggiamento migliore che si possa avere; il mito, quando è mito davvero, resta tale in ogni caso.

   

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