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Back In Time

“Tommy”, l’opera (rock) universale firmata The Who

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I miei figli, di sei e quattro anni, come tutti i bambini amano le favole. Io sono una frana a raccontarle, non conosco la differenza tra Biancaneve e Cenerentola e se mi chiedete la trama della Sirenetta non so nemmeno da dove cominciare. Un pomeriggio di qualche mese fa guardavo video a caso sullo smartphone, era una di quelle volte in cui la nostalgia aveva preso il sopravvento. Il ritmo immediatamente coinvolgente, le chitarre sferraglianti e i coretti li attirano come api sui fiori.

“Papà, che canzone è questa?”, chiedono in coro rendendosi conto che non si tratta esattamente di Baby Shark. Era Pinball Wizard, nella versione di Elton John. Seguono tutta una serie di domande sul flipper: come si gioca, chi vince, a cosa servono quei pulsantoni rossi ai lati di quell’aggeggio, attimi in cui mi rendo conto che i bambini di oggi difficilmente ne vedranno uno in vita loro.

Subito dopo però mi passa davanti tutto il disco. “Tommy”, se non la prima, una delle prime opere rock della storia. Sicuramente una delle più importanti, tanto che se si potesse fare una classifica dei dischi in grado di determinare in modo eterno la storia della musica, il quarto LP dei The Who se la giocherebbe con “Freak Out!” di Frank Zappa, “Fragile” degli Yes, “Rock Bottom” di Robert Wyatt e “S. F. Sorrow” dei Pretty Things. Perché proprio i Pretty Things? Semplice: i fratelli Davies furono d’ispirazione più di chiunque altro dalle parti di Pete Townshend e soci.

“Tommy” è un disco di una grandezza incommensurabile: 2 vinili, 24 tracce, un’ora e un quarto di durata. Non un pezzo debole, non un passaggio a vuoto, nessuna voglia di strafare. Solo tanta (ma tanta) sostanza. I The Who sfornano un album dall’altissimo livello musicale, che accompagna testi straordinari nella loro semplicità, basati su temi universali come i mali causati da una guerra, il fanatismo religioso (il disco è dedicato anche a Meher Baba, il guru indiano padre spirituale di Townshend), la difficoltà che ha un bambino a diventare uomo se nel frattempo ha subìto violenze fisiche e psicologiche, la vittoria finale sui mostri che albergano nel suo cervello.

Di questo disco, peraltro, ricordo di aver parlato con alcuni amici appassionati di cinema, ai quali ho consigliato di vedere il film diretto nel 1975 da Ken Russell. Alla perplessità sui volti degli amici nel sentire il nome del regista – autore di pellicole non esattamente indimenticabili – ho risposto che lo stesso anno ha girato anche Lisztomania, con Roger Daltrey nel ruolo del musicista e compositore ungherese e Ringo Starr nel ruolo del Papa.

Tommy è interpretato dal biondo e riccioluto frontman dei The Who, accompagnato da un trittico di attori di tutto rispetto come Ann Margaret (madre), Oliver Reed (patrigno) e Robert Powell (padre). Con Jack Nicholson, nel ruolo del dottore, termina il cast degli attori. Il resto è una sterminata passerella di artisti musicali che va da Elton John (il mago del flipper) a Eric Clapton (il predicatore), da Tina Turner (Acid Queen) a Keith Moon (lo zio), per finire con un cameo di John Lennon, ospite del parco fondato da Tommy.

Ma torniamo ai pargoli. Tommy è un’opera talmente universale che, tolti alcuni passaggi sullo stupro subito dallo zio e sull’uso di droghe, può prestarsi tranquillamente ad essere raccontata a due bambini, perché parla di uno di loro, che incontra delle difficoltà comuni a tutti e di cui frequentemente si parla. E così mi armo di coraggio, vado a braccio e inizio a raccontare la favola.

C’era una volta un bambino di nome Tommy, il cui papà ad un certo punto parte per la guerra. Tommy, in effetti, nasce proprio mente l’aereo pilotato da suo padre precipita. “Papà, ma il papà di Tommy è morto?”. No che non è morto, infatti dopo un po’ torna a casa. Diciamo dopo un bel po’ di tempo, visto che Tommy ormai è diventato grandicello. Trovandosi il suo papà in casa praticamente per la prima volta va in confusione, ma purtroppo i suoi genitori non lo aiutano a capire, anzi, gli dicono di non vedere, non sentire e non parlare. Tommy li prende alla lettera e di botto diventa muto, cieco e sordo. “Povero Tommy!”, sentenziano in coro i bimbi. Hanno ragione.

Il resto della famiglia di Tommy era addirittura peggio: suo zio lo picchia in continuazione e suo cugino gli urla sempre cose poco piacevoli. La mamma prova a portarlo da una specie di prete che promette miracoli, ma Tommy non guarisce. Fino a questo punto converrete che la storia è comunque più allegra della trama di Bambi.

“Sì papà, ma cosa c’entra il flipper?”. C’entra eccome! L’unica cosa che riesce a mettere Tommy in contatto con il mondo esterno è il flipper. Diventa il più bravo del mondo, addirittura più bravo del mago del flipper. “Ma chi? Quello con le scarpe alte tre metri e gli occhialoni luminosi?”. Proprio lui.

Ad un certo punto però, i genitori conoscono un medico, che dice di poter guarire Tommy facendolo semplicemente guardare allo specchio. “Lo specchio?”, chiedono loro. Sì, lo specchio. Quando il suo papà è tornato a casa dopo tanto tempo, infatti, Tommy non lo ha visto in faccia, ma solo attraverso uno specchio: ricreando esattamente quella situazione, il dottore crede che Tommy possa tornare normale. “Una specie d’incantesimo allora!”

La mamma dovrebbe essere contenta di questa cura, invece si spaventa: ha paura che Tommy, tornando ad essere un bambino normale, possa raccontare in giro delle violenze subìte. Così torna a casa e distrugge tutti gli specchi. “Oh nooo!”, esclamano loro, “ma così Tommy non guarisce!”. E invece, cari bambini, è proprio lì che avviene il prodigio. Guardando i vetri che si rompono, Tommy si libera di tutte le cose brutte che aveva in testa. Così ricorda di quando la mamma una volta lo portò al luna park, prima che tornasse suo padre. Ricorda anche che quel posto gli era piaciuto così tanto che gli era venuto in mente di fondare un parco tutto suo: il Tommy’s Holiday Camp.

“Un parco divertimenti fatto da un bambino? Ma questa è un’idea meravigliosa!” Davvero meravigliosa, non c’è che dire, e alla fine ci riesce, solo che invece di montare le giostre ospita tutti quelli che hanno sofferto come lui. Tommy diventa così l’eroe di tutti i bambini sfortunati. 

“Bella storia papà, ci è piaciuta. Adesso però riguardiamo il video della canzone del flipper?”       

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