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Servo – Alien

2020 - Fuzz Club Records
post punk / noise rock

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Tracklist

1. I
2. Râ
3. Pyre
4. Soon
5. II
6. Yajña
7. Room


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A quattro anni dal debutto “The Lair Of Gods” (2016), i Servo tornano a farsi vivi con un nuovo, terrificante LP, “Alien“, stavolta per Fuzz Club Records. D’altra parte era solo questione di tempo prima che i tre di Rouen venissero inglobati nella scuderia della label londinese, regina indiscussa della psichedelia più oscura, che negli ultimi anni ha fatto un intenso lavoro di scouting non solo nello stivale (The Gluts, Juju, New Candys, Rev Rev Rev, Sonic Jesus), ma anche nel territorio francese (You Said Strange, Steepe Remove).

Sebbene prendano il nome in prestito da un brano dei The Brian Jonestown Massacre, Arthur Pierre (chitarra/voce), Louis Hebert (basso/voce) e Hugo Magontier (batteria/voce) ci servono un cocktail ben più sconcertante di quelli a cui ci ha abituato Anton Newcombe, che di sixties e British Invasion sembra non aver mai sentito parlare. Il loro è più che altro un misto di di post-punk, noise-rock e trance dal retrogusto industriale, una tela di ritmiche ossessive e vociferate infernali sulla quale espodono come violente pennellate distorsioni e riverberate di una pesantezza inaudita. 

L’introduttiva I si avvale di fredde pulsioni techno per atterrirci alla maniera dei Prodigy, intrappolandoci in maglie sonore da cui capiamo subito che sarà difficile liberarsi. I sinistri arrangiamenti della lunga confermano immediatamente la nostra prima impressione: quello dei Servo è un bad trip per pochi, che fitta benissimo nella cornice di un certo underground d’oltralpe (vengono in mente gli Psychotic Monks e i Rendez Vous) ed ancor più nel sottobosco sciamanico d’oltremanica (si pensi a band quali Pigx7, Helicon e Baba Naga).

Lo shoegaze della splendida Pyre e i cantici dell’irresistibile cavalcata psichedelica Soon tagliano l’album in due, tra wall of sound alla A Place To Bury Strangers e climax strumentali che definire da incubo sarebbe un pietoso eufemismo. Con la successiva II raggiungiamo poi l’apice di pesantezza del disco, sia in termini di minutaggio che di violenza auricolare: un vortice infernale di otto minuti abbondanti in bilico tra doom pagano e shoegaze costruito per annichilirci a colpi di fuzz. La sei corde di Yajña accende una debole luce nel buio universo in cui i Servo ci hanno trascinato, ma non illudetevi: la botta finale si chiama Room 3 e chiude il cerchio a suon di post-punk, stoner ed ethno-core, sigillandoci in una distopia da cui non sembra esserci via di scampo.

Di tutti gli extraterrestri possibili, quello dei Servo è sicuramente uno dei più spaventosi: un essere incappucciato, senza volto, giunto sulla Terra con lo scopo di hackerare la psiche umana. Non voglio mentirvi: “Alien” è un album di una cattiveria disarmante. Consigliato a quelli che l’aglio lo mangiano a fette. Sconsigliato ai deboli di cuore.

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