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Interviste

Un’anima multiforme: intervista a Kavus Torabi (Knifeworld, Gong, Cardiacs)

In occasione dell’uscita del suo primo album solista “Hip To The Jag” (qui la nostra recensione) abbiamo fatto quattro chiacchiere con il poliedrico Kavus Torabi, che ci ha parlato della nascita del disco, del suo processo creativo e molto altro.

Qual è la genesi di “Hip To The Jag”?

È stata il desiderio di creare qualcosa in completa autonomia. Con i Knifeworld, una band di otto elementi, collaborare tutti insieme richiede molta energia. Ciascun musicista è attivo in numerosi progetti paralleli ed è difficile radunare tutti in poco tempo. Volevo mettermi al lavoro su qualcosa di abbastanza flessibile con cui organizzare concerti con breve preavviso. Prima del lockdown il mio approccio è stato quello di accettare quasi ogni concerto per il quale ero disponibile, per il gusto di andare a suonare e come “palestra” per migliorarmi. Inizialmente il mio intento era quello di essere in grado di esibirmi da solo, imbracciare una chitarra acustica e vedere se fossi stato in grado di intrattenere e coinvolgere per mezz’ora. Ero terrorizzato, in tutti gli anni con i miei gruppi non mi era mai capitato di suonare in solo. Nonostante mi fossi trovato di fronte a un platee piuttosto nutrite con i Gong ritenevo più arduo esibirmi da solo davanti a un pubblico ridotto. Era una nuova sfida e per me è stato come ricominciare da capo, davvero. Mi è piaciuto un sacco, era una cosa nuova da imparare per bene. Ho pensato, se lo devo fare, voglio che il risultato sia molto buono. Avevo abbastanza materiale dei Knifeworld che funzionava per voce e chitarra per un breve set. Chiedevo ad amici di aprire per le loro band o ai promoter di inserirmi per primo ai concerti, senza pubblicizzarmi troppo, per abituarmi a suonare in questa nuova veste. Questo nel 2017. A piacermi era non dover dipendere dagli impegni di nessuno, quando mi veniva offerto un ingaggio controllavo la mia agenda e accettavo, senza dovermi preoccupare di booking, prove, furgoni, hotel e via discorrendo. Dopo un paio di questi concerti ho cominciato a scrivere canzoni appositamente per il mio set in solitaria, la primissima è stata A Body Of Work, rimpiazzando piano piano i brani dei Knifeworld con nuovi pezzi, finché mi sono reso conto di voler realizzare un intero album con questo materiale.

Con quali coordinate sei partito nella lavorazione dell’album? Avevi una particolare fonte di ispirazione?

Non avevo una fonte di ispirazione propriamente detta, piuttosto l’idea che ogni canzone avrebbe dovuto funzionare eseguita in solitaria. Per l’ultimo disco dei Knifeworld ci sono state delle prove durante le quali abbiamo arrangiato i brani che successivamente sono stati portati in tour, in modo da suonarli per davvero prima di registrarli; ho applicato lo stesso metodo. Prendevo canzoni che già funzionavano con sola voce, chitarra e armonium e le suonavo dal vivo. Dopo le registravo, per poi costruirci sopra un arrangiamento. Mi sono dato delle regole, ad esempio utilizzare solo strumenti che avevo nel mio studio, un capanno nel mio giardino, e registrare tutto lì dentro. Il sentiero da percorrere che l’album tracciava è diventato chiaro al momento della registrazione di My Cold Rebirth, la terza delle prime quattro canzoni alle quali ho lavorato. La sua atmosfera ha impostato il tono dell’intero disco, c’è stato un momento in cui mi sono detto “ah, sarà quel tipo di album”. Da questo momento in poi tutto è stato molto istintivo, di solito non ho un concetto che sono in grado di spiegare a parole nonostante sappia bene in che direzione muovermi. Fondamentalmente la musica mi dà degli stimoli e quando scrivo i testi questi dovranno essere conformi all’aura emanata dall’album. Mi dispiace se tutto ciò possa risultare vago, so esattamente quello che faccio ma mi risulta difficile spiegarlo. Penso che sia lo stesso per molti miei amici musicisti. Il bello è stato non avere una deadline. Ho iniziato nel 2018, lavorando abbastanza assiduamente a casa, nelle pause dai tour e le registrazioni con le mie band, gli ultimi due anni sono stati molto intensi con Gong, The Steve Hillage Band e The Utopia Strong. Ho continuato a lavorarci finché non fossi pienamente soddisfatto del risultato, cosa che accadeva di rado, soprattutto con le voci, ci ho passato molto più tempo del solito.

Un elemento centrale nel sound e nella “personalità” dell’album è l’uso di un armonium indiano. Hai scritto le canzoni con quel suono preciso in mente?


L’armonium è arrivato piuttosto presto perché ero abbastanza consapevole di avere il tipico aspetto da cantautore. Quando ho pensato di arricchire la strumentazione volevo un nuovo elemento che irrompesse nella dinamica voce/chitarra. Ho sempre amato l’armonium e per molto tempo sono stato in fissa con Nico. Non sono propriamente un tastierista, e in più dovendo suonare con una mano sola mentre l’altra aziona il mantice ho mantenuto le cose semplici. Penso che l’idea originale fosse utilizzarlo per creare dei droni da mettere in loop per poi suonarci sopra con la chitarra, ma fin da subito ho cominciato a scriverci delle canzoni, in modo molto diverso da come facevo con una chitarra. Mi pare di aver scritto Slow Movements e You Broke My Fall nei primi due giorni, sono tra le cose migliori che abbia mai fatto. Sono piuttosto semplici rispetto alla maggior parte del materiale scritto per i Knifeworld ma non per questo sono meno importanti. Suonano comunque come qualcosa di mio, almeno credo.

Com’è per te lavorare a un disco solista rispetto a un album con una band?

Totalmente diverso, in positivo come in negativo. Registrare un un disco con una band è un’esperienza collettiva, tutti (possibilmente) vengono travolti dall’entusiasmo che la realizzazione di nuovo materiale comporta. Ci si dice “ragazzi, sarà fantastico!”. Lavorando da solo sono spesso afflitto da dubbi e insicurezze, e mi ritrovo a pensare “sarà buono?” È dura ma bisogna andare avanti. Mentre completavo “Hip To The Jag” non ero convinto che potesse effettivamente piacere a qualcuno. Fino alla fine l’unica ad averlo ascoltato è stata mia figlia, che veniva a gironzolare nel mio studio durante il missaggio. Le piaceva un sacco e allora ho pensato “beh, lo faccio per lei”, ed è stata la ragione per proseguire. Sono a mio agio con ogni tipo di ruolo nella musica e sono fortunato di avere numerosi impieghi. Nei Gong siamo un collettivo democratico, negli Utopia Strong tutto parte da improvvisazioni alle quali noi tre lavoriamo per dargli una forma più definita. Dall’altro lato, sono felice di essere un “soldato”. Con i Cardiacs suono la musica di Tim, lo stesso accade con Steve Hillage e non potrei essere più soddisfatto perché rispetto e stimo chi compone questa musica. Non partecipo a nulla se non sono convinto al 100%, ed è per questo che non sono mai stato un session man. Infine con il mio lavoro solista, e in misura minore con i Knifeworld, è il mio mondo, posso dare forma liberamente alla musica nella mia testa. I musicisti nei Knifeworld sono incredibilmente talentuosi, posso scrivere loro parti piuttosto complesse e la loro impronta le rende migliori di come le avevo immaginate. Per quanto riguarda il materiale solista, non sono particolarmente abile con nulla a eccezione della chitarra, e anche con quella ho uno stile abbastanza limitato, perciò le parti che scrivo sono molto più semplici ma se tutto va bene è l’arrangiamento che le rende interessanti. Credo di avere abbastanza buon gusto da non suonare troppo ed esporre le mie debolezze con gli altri strumenti.

In che modo l’esperienza con i tuoi vari gruppi ha influenzato il tuo stile musicale?

Parecchio, ogni band ha le proprie dinamiche, è bello che ogni gruppo richieda un ruolo differente. Non ero solito improvvisare molto al di fuori di una sala prove; entrando nei Guapo all’inizio degli anni 2000 dovetti cominciare a farlo, dato che dal vivo gran parte delle sezioni venivano improvvisate, e questo nei Gong è ulteriormente esteso. Questa esperienza mi ha dato la fiducia necessaria per imbarcarmi in un progetto come gli Utopia Strong, dove è l’intero concerto ad essere improvvisato. Suonare con collettivi musicali molto diversi mi ha permesso di sviluppare abilità davvero variegate, non puoi sempre entrare pensando che le cose si faranno a modo tuo, che comunque non è una cosa che voglio. Non suono e non ho mai suonato jazz ma penso al mio approccio nelle band come a quello di un jazzista, venendo coinvolto in una serie di progetti con le loro diversità e ascoltando la musica nel suo insieme, capendo come inserirmi senza compromettere la mia individualità o cercare di dominare sugli altri.

In questi tempi dominati dalla pandemia, i musicisti (insieme ovviamente a molte altre persone) stanno passando momenti difficili e precari. Come vivi, da musicista, questo particolare periodo?

Negli ultimi mesi ho fatto un paio di concerti in streaming e ho venduto il disco. Ho alcuni progetti e album ai quali sto lavorando, si vive in modo abbastanza modesto ma non ho idea di cosa possa accadere in futuro.

Ci sono nuove uscite in programma per la Believers Roast [l’etichetta di Kavus, ndr.]?

Sì, la prossima sarà il prossimo album di Arch Garrison. Si tratta del progetto solista di Craig Fortnam della North Sea Radio Orchestra. Ha già pubblicato due dischi meravigliosi e sarà un onore far uscire il terzo. Believers Roast è un’etichetta abbastanza “umile” ma sono fortunato di aver avuto l’oportunità di pubblicare numerosi album nei quali credo in modo incondizionato. Alcuni dei miei dischi preferiti degli ultimi anni sono usciti per questa label. Quello di Arch Garrison sarà la nostra ventiquattresima pubblicazione.

Quali album sono stati più importanti e più influenti per te?

Beh, I dischi che maggiormente mi hanno influenzato vengono da quello che ho ascoltato pressappoco fino a i miei venticinque anni, periodo nel quale erano già entrati nel mio DNA e iniziavo a trovare la mia personalità musicale. Successivamente ce ne sono stati alcuni che hanno cambiato il mio sound. Ascolto cose nuove ogni giorno, dischi che amo profondamente, ma il tempo in cui questo provocava un’alterazione in quello che scrivevo è passato, ho trovato la mia strada e non ho intenzione di fermarmi. Dunque, di base qualsiasi cosa di questi artisti ma in particolare…

Cardiacs: On Land And `In the Sea
Voivod: Nothingface
Steve Reich: Octet
The Mothers Of Invention: Burnt Weeny Sandwich
Nico: The Marble Index
Shudder To Think: Pony Express Record
Robert Wyatt: Rock Bottom
Fred Frith: Speechless
Alice Coltrane: Journey In Satchidananda
Syd Barrett: The Madcap Laughs
Evil Superstars: Love Is OK
Mercury Rev: See you On The Other Side
Gong: Camembert Electrique
White Noise: An Electric Storm
John Adams: Naive and Sentimental Music
Beck: Mutations
Sonic Youth: Sister
Igor Stravinsky: The Firebird
Claude Debussy: La Mer
Melvins: Gluey Porch Treatments
Magma: Köhntarkösz 
XTC: Black Sea
Sun Ra: Lanquidity
Albert Marcoeur: Celui Ou Y’A Joseph
OLD: Formula
Captain Beefheart and The Magic Band: Trout Mask Replica
Black Sabbath: Sabotage
Madness: Keep Moving
Henry Cow: Leg End
This Heat: Deceit

Ho ascoltato questi dischi fino allo sfinimento.

C’è speranza per “LSD” [l’ultimo incompiuto album dei Cardiacs, ndr] di venire pubblicato in futuro?

Sì! C’è una speranza. È tutto ciò che ho da dire.

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