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Lady Gaga – Chromatica

2020 - Interscope
electro pop

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Tracklist

1. Chromatica
2. Alice
3. Stupid Love
4. Rain On Me (feat. Ariana Grande)
5. Free Woman
6. Fun Tonight
7. Chromatica II
8. 911
9. Plastic Doll
10. Sour Candy (feat. BLACKPINK)
11. Enigma
12. Replay
13. Chromatica III
14. Sine From Above (feat. Elton John)
15. 1000 Doves
16. Babylon


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Ricordo perfettamente quella sera di dodici anni fa in cui dissi ai miei amici, guardando il video di Poker Face sulla tv di non so più quale cazzo di locale, “ragazzi, questa non dura più di tre singoli”. Meno male che non faccio il talent scout di qualche etichetta. Non solo Stefani Joanne Angelina Germanotta è ancora qui, ma morire se ne ha sbagliato uno, di singolo. 

Non solo: è riuscita a reinventarsi restando sempre nel suo raggio d’azione concupendo tutti, da Marilyn Manson a Beck, da Josh Homme ad un mostro sacro come Tony Bennett. Quante altre popstar ci sono riuscite? Ecco. Solo Madonna (se non contiamo Christina Aguilera, ma ci fermeremmo all’assolo di Fighter suonato da Dave Navarro, o a una perfomance live divisa con Fred Durst, pure piuttosto imbarazzante). Lady Gaga – non a caso e di certo non per cliché – è ritenuta colei che sola può rivaleggiare con madame Ciccone per il trono a Regina Incontrastata del Pop. Quando sembra andare in una direzione, sterza e torna indietro e lo fa senza ripetersi eccessivamente, trovando sempre un modo per arricchire il proprio vocabolario di un qualche orpello che la volta precedente è stato tralasciato.

Tra “Joanne” e “Chromatica” passa un intero oceano di divergenze, e se non le sentite vi consiglierei un buon otorino. Se il primo indulgeva su un’immagine inedita di Gaga, il secondo torna a calcare i passi pesanti della tamarranza di “Born This Way”, iniettandovi quella vena soft che ammantava il penultimo album. Difficile per chiunque, un gioco da ragazzi per la ragazza di NY. Anche se mettere a nudo se stessi, per una star di queste dimensioni è sempre un gioco pericoloso. Prendete un brano come Fun Tonight, se vi fermaste al titolo pensereste al solito inno allo “sbidonamento” (cit.) notturno, e invece no, sulla cannonata ultra-nineties a cassa dritta sbattono le ali synth amari e un testo che pare un lungo addio e un bello schiaffo in pieno viso: “You love the paparazzi, love the fame / Even though it causes me pain / I feel like I’m in a prison hell / Stick my hands through the steel bars and yell”. Giusto per ricordare che non basta la fama ad essere felici.

Stupid Love e Rain On Me sono poi due di quei singoli insuperabili di cui sopra: il primo è una bordata che si porta appresso tutto un bagaglio anni ’80 di batteria grossa e ritmo incessante, pre-chorus e chorus collosi e sintetizzatori settati sul minimo indispensabile per restare lì dov’è (e qui torniamo indietro agli esordi), il secondo traduce reminiscenze Daft Punk e Modjo e le impreziosisce con la presenza della voce incredibile di Ariana Grande (un’altra che assieme al giusto produttore, che so, Rick Rubin, potrebbe buttare fuori tutto un potenziale soul ancora ampiamente inespresso), un altro testo amaro che viaggia sui binari della strapotenza ritmica. La danceteria elettronovantiana è protagonista assoluta, tanto che i DP tornano a fare capolino su Plastic Doll, un treno guidato da Skrillex, che per una volta non ci mette la sua francamente stucchevole fissa d’n’b, ma confeziona una sontuosa sventola poppettona e molleggiata, con tanto di dovuta tirata femminista (mica può farlo solo Fiona Apple, anche se la preferite perché non popstar e non eccentrica, fatevene una ragione).

Non mancano le cadute di stile, tipo la presenza di BLACKPINK sull’altrimenti godibilissima Sour Candy, con Gaga che canta sempre più piegata su stessa e su registri bassi, ricordo di quella mansoniana collaborazione che fu, mentre Elton John (che mai ho sopportato e mai sopporterò) fa la sua signora figura sull’eurodance assassina di Sine From Above, autotunnato e per una volta non votato ad una ballatona delle sue. Replay è uno stiletto di vocalità anni ’70 nel cuore di plastica dei ’90 e finisce in vetta, forse il pezzo più bello e trascinante di tutti. 

Sapete una cosa? Va male a Lady Gaga, perché se non fosse uscito “Heaven To A Tortured Mind” di Yves Tumor, “Chromatica” sarebbe a pieno diritto il miglior disco pop dell’anno. Ma è questione di poco, perché Joanne mette in fila un album di hit pregne di significato, tormentate e ben poco festaiole, e lo fa in un castello dance ammantato di micidiale funzionalità. È il disco che Grimes si sogna la notte di fare, ma che non riuscirà mai ad incidere. E Regina Incontrastata del Pop sia, che di dischi mediocri e falso-artistoidi ne abbiamo anche ascoltati abbastanza.

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