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Back In Time

“Album Of The Year”: i Faith No More e l’essenza del crossover

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“Vorrei un Braulio”.

Questa fu una delle frasi memorabili pronunciate da Mike Patton al Palalido di Milano il 21 novembre 1997, quando i Faith No More portarono in giro per l’Europa “Album Of The Year”. Ci fu un po’ di trambusto su come far arrivare il Braulio a Mike e, dopo qualche momento di incertezza generale, arrivò da un tizio non molto distante da me l’offerta di una sigaretta. “Una sigaretta?” rispose Mike. “Va bene, ve bene” nel suo bellissimo italiano. Il tizio lanciò la sigaretta e Mike la prese al volo poi fece cenno di accendere e piovve sul palco un’invasione di accendini tanto che Mike urlò “Oh! Oh!! Basta! Basta!!” tra l’ilarità generale. Dopo un paio di finti tiri, Mike gettò la sigaretta di lato, alzò i braccio al cielo, si portò il microfono alla bocca e alzando il tono disse: “Avete visto il film su Rete 4 ieri sera??” Al ché, la band, non capendo l’italiano e pensando fosse l’introduzione ad un pezzo, attaccò con Mouth to Mouth. Mike si raccolse tra le spalle e mormorò “Beh, era un gran film”. Un concerto forse un po’ troppo breve: un ora e un quarto di magia schizofrenica in cui Patton alternò lotte con il cavo del microfono come se fosse una vipera d’acqua che sta difendendo i cuccioli, provocazioni al pubblico (sicuramente per vendicarsi degli accendini) e sketch maccheronici indimenticabili.

Ma andiamo a quando uscì l’album.

Nel mio precedente Back in Time dedicato ai Faith No More,eravamo rimasti al giorno in cui uscì King for a Day, Fool for a Lifetime”. Ebbene, da quel giorno passò un’altra vita: due anni e tre mesi più o meno.

Le superiori erano finite da un anno e molti stavano portando a termine il primo anno di università, altri invece erano a militare, i più furbi avevano già una professione, io naturalmente non ero tra questi ultimi perciò, nei miei pomeriggi di cazzeggio esegetico/ricreativo giovanile, passavo sempre molte ore in un piccolo negozio di dischi, tant’è che il proprietario mi chiedeva, a volte, di tenere d’occhio la piccola bottega mentre andava a fare due commissioni. In una di quelle occasioni, mentre sedevo sullo sgabello del titolare, entra un amico che esordisce con “C’è il nuovo dei Faith No More?”

Io casco dal pero: “Il nuovo dei Faith No More???” Non avevo neanche visto il video di Ashes to ashes che girava su Videomusic già da qualche giorno. In quel mentre torna il titolare con uno scatolino di cartone in mano “Oh! L’avevo lasciato in macchina!” apre lo scatolino e tira fuori con entrambe le mani una pila di cd, una dozzina, tutti uguali, una foto curiosa in copertina e la scritta “Album Of The Year” in basso.

Il mio amico ed io comprammo due copie all’istante, le scartammo subito e ne mettemmo su una lì in negozio. Uno di quei momenti senza alternative, come se sapessimo che avremmo dovuto aspettare quasi 20 anni per l’album successivo.

Dopo l’entusiasmo per la potenza impattante di Collision ci fu, durante l’ascolto, una specie di disappunto, diciamo all’altezza di Last Cup of Sorrow, in cui il tappeto di chitarre non ci entusiasmava. Sapevamo che non c’era più il Mr. Bungle Trey Spruance ma la scossa ci torna con Naked in Front of the Computer, mentre alle nostre giovani orecchie, Helpless poteva essere tranquillamente un b-side di “King for a Day…” e si ricomincia con le montagne russe grazie a Mouth To Mouth, perché, inutile a dirsi, tutto quello che rincorrevamo era la follia di Patton, il quale aveva un’ idea precisa di cosa dovevano essere i pezzi che formano un album: “Idee condensate in tre minuti”- testuali parole che mi ricordo estrapolate da un’intervista dell’epoca, e sì, sono effettivamente idee, come lo erano quelle di  “King for a Day…”, ma quello che manca sono forse le sorprese, mancano i picchi lisergici, le scariche elettriche che ti tengono incollato all’ascolto.

Paths of Glory è forse l’esempio più calzante in cui si nota che i ragazzi si sono trovati forse un po’ incastrati nel loro stile, ma “Album Of The Year” è prima di tutto un lavoro legittimo che deve essere percepito come degno di essere ascoltato in quanto pieno di tratti stilistici che ne caratterizzano l’individualità, per di più, i Faith No More del 1997 sono persone adulte che escono con un album autentico, forse il più autentico di tutti in quanto le trovate creative non aumentano o diminuiscono a seconda della volontà di scioccare, di stupire, di uscire ed essere visti, “Album Of The Year sono i Faith No More senza alcun bisogno di affermarsi ed è il classico passo di chi non ha più nulla da dimostrare e incide un disco apparentemente più debole dei precedenti, succede spesso, e succede che dopo quel passo la band si sciolga, dopo l’ultimo tour, ma è una questione che coinvolge autori di ogni forma, dagli scrittori ai registi.

Dico “apparentemente” perché, a parte l’oggettiva inferiorità creativa di Jon Hudson rispetto a Spruance, in “Album Of The Year” vi è un ulteriore alimentazione dell’onda della musica alternativa, quella che dice che i  Faith No More sono emersi come grandi autori usciti dal prolungato apprendistato scolastico del crossover e che non sanno esattamente se il loro target sarà la classe operaia dell’hard rock che grida ancora la disperazione per l’uscita dal gruppo di Jim Martin o la famiglia borghese trentenne che cerca nuove esplorazioni stilistiche.

Per questa ragione “Album of the Year” è un passo laterale, è il vero “crossover”, il “crossover” puro, come mai l’avevamo conosciuto fino ad allora. Perché i Faith No More hanno cercato qualcosa di nuovo negli stimoli visionari, in colonne sonore perdute, quello sguardo rivolto ad Orson Welles e alle lunghe ombre del cinema noir di un tempo, quell’”F for Fake” che incombe sul finale di Stripsearch, e quel titolo Naked in front of the computer, così, come se interrogasse le depravazioni delle future generazioni, l’inizio di un uomo nuovo, perduto in partenza e folle, o forse, alla fine della strada. Un punto di arrivo, di svolta, un giro di boa, un attraversamento.

Andiamo infine alla coda dell’album: Pristina, la closing track, l’ho sempre considerata dimenticabile secondo il mio lato proletario ma oggi il mio lato non appartenente né all’esercito né al clero mi spinge a soffermarmi sul significato criptico deli versi “I’ll be with you/ I’m watching you” che sembrano parlare di una visione presa al di là del conoscibile, come se la creatura Faith No More avesse compiuto un salto troppo lungo e non potesse più tornare indietro, perciò sembra un commiato, un addio. Come se avesse voltato lo sguardo ed il concerto al Palalido si chiuse propio con Pristina e le luci si spensero, si spensero per 18 anni e la domanda che mi è rimasta ancora oggi è: chissà poi Mike che film aveva visto su Rete 4!

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