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The Striders – Out Of The Blues

2020 - Sliptrick Records
rock / blues / soul

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Tracklist

01. Closer To The Sun
02. Whole Lotta Lovin’
03. Bag Full Of Bones
04. Standing On Top
05. Dandelion
06. Rock’n Roll Star
07. Move On
08. Supernatural
09. Addicted
10. Hellhound Blues


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Se le strade fossero infuocate come lasciano intenderci gli svedesi The Striders, avrebbe ancora un senso la frase ‘andare a ruota libera’.

La via del rock adottata in “Out Of The Blues“, loro disco d’esordio, fa la gioia di chi pensa ancora che la vita si possa bere tranquillamente all’aria aperta sotto un sole gaudente, giusto Closer To The Sun, mischiando avventura e scoperta col nervoso sottinteso di assaporare la libertà ad ogni chilometro percorso. Ciò al fine di dare notizia dei luoghi attraversati dallo spirito errante, talvolta in cerca di asilo, dimodoché possa raccontarci le sue storie vagabonde, purché la meta predestinata sia un palco che trasudi aromi legnosi  di vecchie botti che contennero bourbon, attingendo da quel luogo mistico l’energia vitale da impiegare alla bisogna.

Ed una volta raggiunto il sacrario della musica, seguendo l’iter Whole Lotta Lovin’, allora sì che si esibiranno i The Striders, dando in tal modo l’avvio al rituale personale dello spingere, tramite gli elettrificati stantuffi strumentali, tutta la potenza e il calore accumulato battendo le aride, talvolta piovose, disincantate, o polverose che siano, strade dell’hard rock; ricordandosi di mantenere ben chiara e ferma, dentro le teste, la missione che hanno da compiere: trasportarci con fiera risolutezza e sicumera “Out Of The Blues“.

Questa volta, però, non alla maniera dei due orfanelli in cravatta, sunglasses e borsalino, ossia, per conto di Dio, ma per mezzo della fluida volontà di quattro iperborei ragazzi che portano nel bagaglio emozionale le reliquie di quei protagonisti che ne hanno alimentato la loro passione musicale e che ora hanno tutta la voglia di questo mondo, col pieno fatto del serbatoio, di spenderla direttamente sugli stages più inverosimilmente puri ed eretti in nome di quell’unico credo, in grado di far sballare e ballare a suon di telluriche liriche riffate, officiando l’inafferrabile spirito del Rock.

Se ne incarica la speciale Standing On Top, sopravvivendo alle intemperie di chi vuole morta pure la poesia composta di immagini felici strappate al corso fuggevole del tempo, a spiegare ciò che è inscritto nell’indole tonante di Victor Gustafsson (vocals), Adrian Johnsson (bass/backing vocals), Mattias Gudasic (guitar/backing vocals) e Sebastian Varas (drums).

Neanche il tempo di continuare a planare sulla placida leggerezza folk di Dandelion, che Rock’n’Roll Star subentra in pompa magna riportandoci in pista il più infiammati possibile.
In forza del suo wha-wha spaziale, la song ci sospende denudando il wire scoperto dentro l’arcobaleno, poco prima che la ritmica ci teletrasporti a bordo della motrice di un treno bianco che riga orizzontalmente gli States, viaggiando paralleli alla Route 66.

Move On esprime quel soul amato da Bon Scott e dai Wolfmother, dando spettacolo quel tanto dovuto a far brillare il passaggio dal blues al rock, traversando la buia galleria della perdizione, sebbene nutrita di umori psichedelici, estrapolando linfa vitale dalla chitarra supportata da un vocalist che tutto fa tranne che scherzare. E devi prenderla così come viene, in modo Supernatural, perché a volte conviene fidarsi del destino e lasciarsi travolgere da quel che ti offre, come un bel menù che presenta turbinosi drinks da poter accudire in santa pace.

L’irresistibile intesa dei nostri rockers rotea come liquido luciferino ficcato in un imbuto piantato e travasato in gola; il farmaco spiritato di cui essere dipendenti. La causa di ciò non è più né il rock, né il blues, nondimeno è una diavolessa cotta di te, caro ascoltatore, e fin dal primo incrocio di sguardi. Sì, sì, parlo della cameriera provvista di occhio lungo. Lei ti ha adocchiato da un bel po’ seduto al tavolino, oh little boy blues, mogio e soletto in attesa che Addicted piova come una benedizione paradisiaca dal cielo, affinché sacro e profano si glorifichino nel fatidico bacio che schioccherà imminente fra voi due, espandendo il gusto di bourbon & coca e del fremito frizzante delle ondulate note. Gli echi impastati, vittime sacrificali dell’orgia spaziale scatenata fra te che ascolti loro e i The Striders che suonano per te, raggiungono l’apice nella last track Hellhound Blues (che insieme a Move On fanno pregare che non si finisca mai, né più mai, di suonare su quel palco) e ne scaturisce un pezzone liturgico spianante tutte le sensazioni di cui si è fatto tesoro catturando l’attenzione lungo le precedenti tracks.

Finalmente lo spirito randagio che ci sovrastava accanto, benigno ed invisibile fin dall’inizio del disco, ‘mbé, ha deciso di spuntar fuori!
Risuona dunque congeniale per lo spettro, a questo punto, il tempo di condurci dentro il pieno del mistero, e delle malie, che inseguiamo ogni giorno evocando la rarefatta quinta dimensione, la sola giovante alla nostra libertà di fare qualsiasi cosa – bene, sempre e comunque e di farla ancor meglio casomai ci trovassimo tra le mani il disco adatto, quello giusto e deciso a tirarci fuori dal blues.

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