Impatto Sonoro
Menu

Back In Time

“Diabolus In Musica”: la tentazione degli Slayer

Amazon button

A distanza di ventidue anni dalla pubblicazione, “Diabolus In Musica” continua a dividere i fan e la critica. Su questo disco si è detto tutto e il contrario di tutto: alcuni non lo hanno mai apprezzato particolarmente perché troppo lontano dal classico sound degli Slayer; altri ancora, almeno all’epoca dell’uscita, lo giudicarono ripetitivo e privo di idee fresche, avvitato attorno a uno stile rimasto pressoché immutato dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi.

Due pensieri diametralmente opposti che scontrandosi hanno finito in qualche modo per annullarsi a vicenda, condannando all’oblio un lavoro magari non indimenticabile, ma comunque interessante e ricco di spunti. Perché, pur essendo una delle stelle meno luminose nel firmamento slayerano, “Diabolus in Musica” resterà per sempre un’ambigua ma importante testimonianza delle mutazioni che stravolsero l’heavy metal sul finire dello scorso secolo. È una sorta di fotografia scattata per immortalare un preciso ma sfuggente momento storico; l’immagine opaca di una breve fase di passaggio ormai dimenticata.

Quando gli Slayer si riunirono nelle sale dell’Ocean Way Recording di Los Angeles, l’attenzione del grande pubblico si stava spostando dal groove al nu metal. I Pantera avevano già raggiunto l’apice, i Korn e i Deftones si apprestavano a cavalcare la cresta dell’onda, mentre i Limp Bizkit e le altre realtà più vicine all’universo hip hop stavano ancora muovendo i primi passi. Se la passione per il thrash vecchio stampo continuava a bruciare i cuori degli ascoltatori più attempati, i gusti musicali dei giovincelli iniziavano rapidamente a spostarsi verso altri lidi.

Sonorità oscure e pesanti, accordature ribassate, strutture snelle ma articolate, ritmi meno “sparati”, parti soliste ultra-effettate, riff poco elaborati ma di enorme impatto: furono più o meno questi gli ingredienti che Jeff Hanneman e Kerry King si segnarono sul taccuino per comporre le undici tracce di “Diabolus In Musica”. Il disco fu costruito avendo fissa in mente l’idea di mostrare al mondo il lato moderno degli Slayer. L’intenzione non era solo quella di attrarre nuovi seguaci, ma anche di sorprendere tutti i preoccupati da un possibile rammollimento da parte del quartetto californiano.

Sfortunatamente, entrambi gli obiettivi vennero appena sfiorati. Il motivo? Probabilmente un non troppo velato disinteresse nei confronti delle tendenze metal dell’epoca. Una scarsa dimestichezza con gli stili esplorati in lungo e largo nel corso dei quaranta minuti dell’opera. Dell’anima non vi è ombra, ma la sostanza c’è e si sente. Come al solito, non si fanno prigionieri: i riff cromatici che caratterizzano la melmosa introduzione di Bitter Peace lasciano quasi immediatamente campo aperto a una classica, violentissima cavalcata thrash alla Slayer.

L’ugola scartavetrata di Tom Araya infonde una cattiveria inaudita alla già di per sé mefistofelica Death’s Head, in cui si avverte in maniera palese l’influenza del groove metal. Stain Of Mind, uno dei pochi brani tratti da “Diabolus In Musica” rimasti nelle setlist dei concerti dopo il 1998, diffonde invece l’afrore del nu metal: il drumming di Paul Bostaph è serrato, le chitarre di Hanneman e King sono ignorantissime e il cantato di Araya è estremamente ritmico, per non dire rappato. L’onta viene subito lavata via dalla perfida Overt Enemy e dalla diabolicamente thrash Perversions Of Pain, che include anche degli stacchi al cardiopalma ricalcati sul modello di Angel Of Death.

Vi sembrerà una bestemmia, ma l’attacco di Love To Hate ricorda moltissimo quello di Them Bones degli Alice In Chains. Per quanto mi riguarda, è l’unico punto di interesse in un pezzo davvero poco ispirato. Decisamente più intrigante la successiva Desire, se non altro per i timidi barlumi melodici e per la quasi irriconoscibile voce di Tom Araya. Con i riff stoppati di In The Name Of God e il mood “paludoso” di Screaming From The Sky si torna dalle parti del groove metal, inteso tuttavia nella sua forma più forsennata e sanguigna.

Cucchiaiate di latte e miele, se confrontate con le micidiali Scrum e Point: a quest’ultima va la palma di miglior traccia dell’intero “Diabolus In Musica”, in quanto unica realmente in grado di mostrare ciò che questo album poteva essere e non fu. Se confrontato con i classiconi degli Slayer, questo lavoro è poca roba. Ma non fate l’errore di sottovalutarlo. Recuperatelo e fatelo ascoltare a tutti coloro che, per qualche strana ragione, hanno sempre considerato la band rinchiusa nella propria comfort zone.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati