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Woods – Strange To Explain

2020 - Woodsist
indie rock / folk

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Tracklist

1. Next To You And The Sea
2. Where Do You Go When You Dream? 
3. Before They Pass By
4. Can't Get Out
5. Strange To Explain
6. The Void
7. Just To Fall Asleep
8. Fell So Hard
9. Light Of Day
10. Be There Still
11. Weekend Wind


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You can reinvent yourself so you don’t slip away

Così canta col suo iconico falsetto Jeremy Earl, frontman dei Woods, nella title track di “Strange to Explain”. L’idea è che sia possibile sfuggire alla morte reinventandosi continuamente. Il problema? I vari “io” passati non spariscono certo nel nulla, ma si accumulano nell’armadio, pronti a tornare come fantasmi nella notte. È questo il mood del quintetto americano nel 2020: vagamente ansiogeno, ma più introspettivo e sognante che mai.

Eccezione fatta per “Love Is Love” (2017), mini-Lp frettoloso e in un certo senso scontato, scritto e registrato in appena due mesi per attaccare il negativismo scaturito dall’elezione di Trump, “Strange to Explain” arriva in scia ad una serie di lavori assolutamente impeccabili, che hanno visto i cinque di New York deviare timidamente dai binari del folk-rock per toccare talvolta la psichedelia nuda e cruda, talvolta il funky, talvolta l’alt-country. Questo undicesimo album, sempre per la loro etichetta Woodsist – trampolino di lancio di artisti del calibro di Kurt Vile, Kevin Morby (ex bassista della band) e Real Estate – è un altro centro pieno, l’ennesimo album della “maturità”: 50 minuti di jams folk-rock oniriche e zuccherine, piene zeppe di Mellotron (suonato da John Andrews, che è anche batterista nei Quilt, oltre che avere un progetto solista coi The Yawns) e con giusto un pizzico di Americana solare e cicatrizzante, che di questi tempi non fa certo male.

Il disco si apre con melanconiche vibrazioni indie-roots (sia l’esotica Next to You and the Sea in apertura che la successiva Where Do You Go When You Dream?, uno dei pezzi migliori del disco), per muoversi poi su terreni ben più solari con plettrate in bilico tra Dire Straits e Fleet Foxes (Can’t Get Out e Strange to Explain). A condire il tutto troviamo ansiogene cavalcate in levare sublimate da lunghi outro strumentali (Fell so Hard, pezzone che sembra uscito da “With Light And With Love” del 2014) ed ipnotiche ninne-nanne in acustico (Just to Fall Asleep e Be There Still). Il compito di scandire il ritmo è lasciato a delle eccezionali parentesi strumentali, punteggiate da fiati e vibrafono: la spagnoleggiante The Void, ponte tra prima e seconda metà dell’album, e la conclusiva Weekend Wind, jam dai toni groovy e jazzy, che ci mostra aride praterie americane attraverso le lenti di Crazy Horse, Doors e Morricone.

Seppur trattando di subconscio ed incerto avvenire, la musica degli Woods è comunque in grado di confortarci, di infondere gioia in sordina. Una forza, questa, che non hanno mai perso dai tempi del debutto “Songs of Shame” (2009), motivo per cui è giusto annoverare la band tra le realtà indie più affidabili degli anni Dieci. Sarà la ritrovata saggezza paterna di Jeremy Earl, sarà il dislocamento di Jarvis Taveniere dalla East alla West Coast, sarà la morte prematura di David Berman (Silver Jews), che certamente ha toccato i Nostri in profondità, dato che lo hanno aiutato a registrare il suo ultimo album a nome Purple Mountains (2019). Sta di fatto che i Woods non sono mai suonati così caldi e familiari, così “casa”.

Nella cornice di questo lockdown estivo, specie nella capitale a stelle e strisce, “Strange to Explain” arriva come una polverosa fotografia di vecchie vacanze, un nostalgico respiro di libertà. Melanconico, certo, ma caloroso e consolatorio. Da non perdere.

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