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Back In Time

E “Dell’Impero delle Tenebre” venne, folle di una creatura

Un mio ex compagno di classe venne da me, una vita fa (da poco meno di un anno avevo finito il Liceo in ritardo di un anno sulla tabella di marcia dei miei coetanei, a.D. 2007), e conoscendomi mi disse: “Oh, Faz, ma sai che sta per uscire il disco di una band italiana noise rock, tipo Jesus Lizard, ma pare cantino in italiano? C’è dentro gente dei One Dimensional Man!” Mi girai verso e lo guardai per qualche istante e gli domandai come si chiamava questa cazzo di band. Il Teatro degli Orrori, mi rispose. Il disco non c’era ancora, quindi non mi restava che attendere.

Qualche mese più tardi comprai Rumore, un po’ perché lo facevo sempre, un po’ perché in copertina campeggiavano i Neurosis, e all’interno c’era questo benedetto Teatro degli Orrori. Me n’ero quasi scordato. Sfogliando arrivai alle pagine dedicate a questo miracoloso supergruppo, e ciò che vidi mi deliziò: uno di loro aveva una maglietta del gruppo di Steve Von Till, un altro una dei Tomahawk e appena dietro, cazzo, non c’era Pierpaolo Capovilla dei ODM? Davvero? Cristo santo. Lessi ciò che c’era da leggere, lessi delle loro influenze letterarie, artistiche, musicali. Lessi, lessi, lessi, tutto. Pensai: “Devo essere proprio stronzo ad essermene dimenticato”. Lo ero, per quello e per tanti altri motivi. 

Infine acquistai “Dell’impero delle tenebre”, la copertina mi ipnotizzò, così scura, minimale, così poco appetibile per i palati abituati all’insapore alternative italiano che stava crescendo altrove, come un’eclissi musicale che brucia le orecchie, e lo ascoltai. Lo ascoltai e lo riascoltai. Me ne innamorai. Davvero ho appena ascoltato Capovilla sbraitare su Vita mia, come Carmelo Bene/Amleto, con una voce simile al Maestro, teatrale e feroce su quelle gran mazzate che manco gli ODM ai bei tempi con quei traccheggi al piombo fuso? Sì, davvero. Cristo santo. Il basso deragliante di Favero che tira dentro E lei venne!, Baudelaire punk e pazzo reincarnato che sputa sugli stronzi sfigati arricchiti, che non sanno un cazzo dell’Amore, anche quello che finisce di merda e lo getti in fondo ad un pozzo e poi ti tiri nero col vino. Poi eccoli lì, a mangiarsi l’ombra del Secolo Breve, di come siamo immemori e l’oscurità striscia, non picchia più, è miseranda, L’impero delle tenebre con in seno gli Area, sfibranti e sfibrati nel XXI secolo. 

È la rottura dello schema precostruito (e già digerito dal pubblico inerme) del rock, che si fa Carrarmatorock! in barba agli imberbi che non ci capivano niente, in barba a quelli che volevano incatenarlo e depotenziarlo. Folli, non ce la farete mai se questi continueranno così (non lo faranno). Fronteggiano gli Afterhours sul versante acustico e sul senso di perdita, se due anni prima Il compleanno di Andrea mi aveva portato via un pezzo di cuore, La canzone di Tom fece il resto del lavoro lasciando un vuoto (e noi ricordavamo Tom degli ODM, che stava da un’altra parte). Nella stasi del rumore con Il turbamento della gelosia, come se non ci fosse altro da farsi e nel suo dispiegamento post in quelle ferite immani di Maria Maddalena e nello spleen disperato di Scende la notte, folli come gli Oxbow, delicati come un poeta morto da mille anni e più. 

Poi ricordo di quella sera all’Hiroshima Mon Amour di Torino, quella sera in cui il palco bruciò di violenza tra loro e gli Zu, e il loro split, sul palco mischiati, sempre più coi piedi in una musica che l’Italia forse non meritava. O forse sì? Non lo so. Il mio amore per il Teatro si spense nel giro di un altro album. Mi rattristava non capire dove fosse finito il furore di questo debutto incredibile. E se fossi io il problema? Oggi il Teatro ha ufficialmente chiuso i battenti, parola dello stesso Pierpaolo. Insomma, io sono contento, non li volevo più sentire sulla bocca di persone che non ne colsero lo spirito primevo (ma nemmeno quello di poco successivo, lo facevano tanto per fare e dire), e nemmeno volevo più saperli (loro, la band) da esso sì distanti, ma il problema è davvero mio, mi sa – e non sono nemmeno un fervido sostenitore del “ma i primi dischi sono meglio”, anche se a volte è vero.

Mi spiace, insultatemi, incazzatevi, commentate come peggio potete (lo fate sempre), su tutti noi, Dio mio, scenderà la notte. Ogni musica ha il suo tempo, e la musica appartiene solo a se stessa. Quindi né io, né voi, potremo mai farci un cazzo. Al massimo rimettiamo su un album. Io questo. Voi fate un po’ come vi pare.

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