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The Soft Pink Truth – Shall We Go On Sinning So That Grace May Increase?

2020 - Thrill Jockey
elettronica / sperimentale

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Tracklist

1. Shall
2. We
3. Go
4. On
5. Sinning
6. So
7. That
8. Grace
9. May Increase


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Che diremo, dunque? Rimaniamo nel peccato perché abbondi la grazia?

San Paolo, Romani 6:6

Dall’incipit di questo passo biblico Daniel Drew prende spunto per creare il nuovo capitolo della storia di The Soft Pink Truth. È nell’elegia messianica che “Shall We Go On Sinning So That Grace May Increase?” pare prendere il tocco ultraterreno del disco, che par farsi latore di un pensiero altro accanto alla rabbia degli esseri umani (magistralmente interpretata nell’album collaterale “Am I Free To Go?”). 

Nei meandri dell’album sembra di sentir risuonare Arvo Pärt in un incontro sostanzialmente proficuo con Ryuichi Sakamoto e Philip Glass ad un concerto jazz che si svolge in una chiesa abbandonata e adibita a club avvolto nella penombra. Il piano di Koye Berry non accompagna, è colonna vertebrale del corpus e lo sostiene anche se sembra affondare in un etere che affronta la carne mettendola da parte. Shall, We e Go sono una suite corale intimista, leggera e spaziale, che si muove sinuosa nelle vene pulsanti rabbia dell’essere umano, placandone gli scatti nervosi, al posto delle schiere angeliche chi meglio di Angel Deradoorian può mostrare la strada verso una luce molto, molto reale. L’uomo si reincarna in On e Sinning, un tocco di pulsazione house trova spazio sulle cuciture jazz costruite dal sax di Andrew Bernstein e John Berndt, tra stoccate di vibrafono che fanno vibrare il cristallo delle melodie.

La seconda parte del disco trascende spirito e corpo per attendere l’avvento della macchina: So e That sono soluzione robotica, il compagno di vita Martin Schmidt provvede a rendere il tutto più rumoroso, mentre i synth space sbracciano dilatando il tempo. L’altra metà dei Matmos prende posto dietro al piano e imbastisce l’architettura melodica di Grace, e riecco l’Uomo, riecco il jazz, arriva da lontano e risale il crinale del tempo e lo spezza in poliritmiche tirate che volgono lo sguardo alla strapotenza di Art Blakey che vanno a ingrandirsi sempre di più sulla finale May Increase, come in un’esplosione di danza e movimento senza fine, quasi fosse un’esperienza taumaturgica che nell’elettronica trova tutti gli elementi per la cura dell’animo umano.

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