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Grey Daze – Amends

2020 - Loma Vista Recordings / Concord Records
post grunge

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Tracklist

1. Sickness
2. Sometimes
3. What’s In The Eye
4. The Syndrome
5. In Time
6. Just Like Heroine
7. B12
8. Soul Song
9. Morei Sky
10. She Shines
11. Shouting Out


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Prima di tutto venne il grunge, battezzato col nome di Grey Daze, nati mentre Caronte portava il genere da una parte all’altra dello Stige. Venne prima del nu-metal, quello che Chester Bennington ben lungi dall’involontarietà cambiò, purtroppo in peggio, con almeno due dischi magnifici. Ma quella è un’altra storia.

Questa storia è quella di una band di ragazzi rei di aver reclutato uno dei cantanti più dotati di sempre, la cui stella polare era Scott Weiland, e di certo anche Layne Staley. Ma non era questa la storia che lo avrebbe consegnato ai posteri, ora che non c’è più. Mancava qualcosa, ai Grey Daze. Di certo l’originalità, però la base c’era, ed era proprio Chester. Poco prima di togliersi la vita la voce dei Linkin Park aveva deciso di ridarla alla band che lo aveva raccolto, un attimo dal grande salto nell’Altrove del mainstream. Ma non c’è stato tempo. Non c’è mai tempo.

Amends” è il lascito, il ricordo di un amico e di un talento indiscusso e troppo spesso sprecato. Non è un disco che si può definire, non è nemmeno un disco che si può promuovere o bocciare. È qualcosa che va al di là di voti e posti in classifica. “Amends” ad essere pienamente sinceri è un disco derivativo, e di nuovo non sufficiente a lasciare un segno. Ma chissà se ci fosse stato ancora Chester, di certo questa strada avrebbe potuto riportarlo in un territorio più congeniale delle hit parade da fighetti in cui erano finiti inesorabilmente i LP. 

Alcuni amici passano a lasciare un pezzo di loro, sul viale del ricordo: Munky e Head dei Korn, Page Hamilton degli Helmet, l’ex-Orgy Ryan Shuck e Marcos Curiel dei P.O.D., poggiano le chitarre sulle tracce di un disco che sa di eterno, senza meriti se non quelli di Chester. Che voce, anche se per la maggior parte parliamo di ballad elettriche, il gusto e la potenza già c’erano (le parti vocali sono quelle originali registrate negli anni ’90) e spingevano verso l’altrove. Pressa e spinge su B12 (che i due Korn rendono musicalmente deliziosa), grida disperato su Just Like Heroine, langue nel grigiore di Sometimes, straccia il cuore d’intensità e rende Soul Song il pezzo che i Bush non sono mai riusciti a scrivere, si fa malignamente dolce ed estremamente Layne sulla bella e disperata She Shines e prende il volo su The Syndrome

Fa rabbia pensare che quella che sarebbe potuta essere una rinascita, un nuovo inizio, è invece solo un ricordo lontano, forse destinato a scomparire, sepolto da qualcos’altro e dal tempo che non perdona. Che perdita.

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