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Neil Young – Homegrown

2020 - Reprise Records
folk rock

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Tracklist

1. Separate Ways
2. Try
3. Mexico
4. Love Is A Rose
5. Homegrown
6. Florida
7. Kansas
8. We Don't Smoke It No More
9. White Line
10. Vacancy
11. Little Wing
12. Star Of Bethlehem


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Per poter apprezzare e analizzare un’opera d’arte è necessario conoscerne e capirne il momento storico in cui essa è stata realizzata.
Stessa cosa per ogni opera creativa, libro, film o disco che sia.
Di fronte a noi abbiamo un album che sarebbe dovuto uscire 45 anni fa e che si sarebbe dovuto collocare tra due capisaldi come “On The Beach” e “Zuma”…Nientemeno!

L’autore di questo disco non necessità di alcuna presentazione! O meglio, per il valore che riveste, forse ne meriterebbe molte! La sua chitarra, ora elettrica, adesso acustica, ha saputo accarezzare e graffiare le corde dell’anima di tutti coloro che si sono fatti rapire dalle sue canzoni. Desolazioni, stati d’animo, orizzonti, strade, visi scavati, sorrisi e tanti, tanti (…tanti) brividi. Neil Young ha saputo produrre una discografia immensa, nella quale si fa davvero fatica a trovare punti deboli. Ce ne sono, non è vero che non ce ne sono, ma anche laddove la sua arte non è riuscita ad essere al solito celestiale livello, è sempre comunque riuscito a trascinarci in luoghi pieni di sterminata bellezza.

Su chi sia stata la figura più luminosa di tutta la storia della musica rock (…e di tutte le sue più complesse, complicate e immaginarie sfaccettature), possiamo tranquillamente soprassedere. Il rischio di trascorrere qua tutto il rimanente 2020 e tutto il prossimo 2021 ad accapigliarci facendo prevalere i nostri gusti e le nostre ragioni su quelle degli altri, è pressoché gigantesco. Ciò non toglie che Neil Young sia senza dubbio uno dei pilastri più imponenti e solidi di tutto il Pantheon dedicato alla musica contemporanea. Sulle motivazioni del perché questo album sia rimasto sugli scaffali per decenni se ne è parlato molto. Il suo autore lo descrive come “Il lato triste di una storia d’amore” tenuto nascosto nel caveau della propria mente. Il passaggio mai ascoltato tra “Harvest” e “Comes A Time”.

“Un disco pieno di amor perduto” che Neil Young non si è sentito di far uscire quando sarebbe dovuto essere il suo momento per il semplice motivo che, forse, almeno per il suo autore, il momento giusto non era affatto quello. Un incipit che già così sarebbe buona base di partenza per un film. La fiamma di un amore che si spegne, un artista che respinge i doveri discografici perché ritiene che il proprio stato d’animo sia più importante di qualunque contratto e dodici tracce che si perdono come “lacrime nella pioggia” e che forse mai nessuno più ascolterà. Vedo il fraterno amico Jim Jarmusch occuparsi già della sceneggiatura. Per me è già capolavoro sulla fiducia!

Poi però il tempo passa, le ferite si cicatrizzano, il dolore si attenua e finisce che un giorno di fine giugno 2020 questo disco finalmente si mostra in tutta la sua bellezza. Quale direzione avrebbe potuto prendere la carriera e la musica del cantautore canadese se questo album fosse davvero uscito nel 1975 non lo potremo mai sapere e sinceramente la cosa lascia davvero il tempo che trova. Quello che è certo è che sarebbe stato apprezzato e avrebbe aggiunto un altro importante capitolo ad un periodo molto prolifico nella carriera di Neil Young.

Le dodici tracce che compongono “Homegrown” non sono tutte inedite, ma nel corso degli anni ben 6 di esse hanno trovato collocazione in altri album ed altre ancora sono state suonate dal vivo. Ma veniamo in concreto al disco! Il viaggio parte subito potente e già dalle prime note di Separate Ways si ha la sensazione di vivere un sogno! Una ballata che tra armonica a bocca e pedal steel riesce a trasportarci in una dritta e polverosa strada degli anni ’70 a cavallo di un auto che già tante miglia di asfalto ha macinato. Il percorso prosegue morbidamente tra le sonorità folk acustiche di Try, dove il ritmo rallenta e la nostra testa inizia a muoversi a tempo con il cantato di Neil.

Mexico è una dolce meraviglia fatta di solo voce e piano mentre Love Is A Rose è uno sguardo sugli orizzonti che ci scorrono dinanzi agli occhi in un viaggio che inizia a farci sentire i primi brividi. Homegrown, la title track, ci mostra cadenze country condite da chitarre che iniziano a preannunciarci sferragliamenti rock che puntualmente arrivano su Vacancy, dove l’aria non è a dire il vero del tutto satura di quelle distorsioni tipiche del Neil Young più angolare, ma che decisamente ci sanno scaldare.

Il resto del disco varia tra lo spoken di Florida, brano interamente parlato, il più tipico dei blues di We Don’t Smoke It No More e ballate notturne, di una dolcezza infinita e delicata, come Kansas e (soprattutto) Little Wing dove le emozioni si fanno sentire forte. Star Of Bethlehem, la canzone che chiude il disco, torna a risplendere di suoni più solari grazie anche ai cori di Emmylou Harris in una ballata rurale che dolcemente ci conduce alla conclusione di questo album perduto e finalmente ritrovato.

Homegrown” è un disco che non smuove la discografia di Young e non fa gridare al capolavoro, su questo credo possiamo essere tutti d’accordo, ma senza dubbio sono 35 minuti che ci riempiono di luminosa bellezza.

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