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“Appetite For Destruction”: cambiare il lato di un vinile non è mai stato così bello

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Da decenni è una fase che attraversa ogni adolescente. Jeans strappato, bandana, borchie, giubbino di pelle. Era il periodo del liceo, entrai in un negozio di dischi e lo comprai. Avevo visto t-shirt, spille sugli zaini con quella copertina. Una croce con dei teschi su uno sfondo nero. Presi il bus, tornai a casa e lo misi nello stereo. WOW.

Nel pieno degli ‘80s, una band girava tutti i club di Los Angeles con alle spalle un EP, “Live ?!*@ Like A Suicide“. La Geffen Records li notò e decise di pubblicare il loro primo disco, prodotto da un ancora giovane Mike Clink. Una chitarra in lontananza si avvicina, cassa e hi hat sempre più arroganti e… Welcome To The Jungle!

Esplode così “Appetite for Destruction“, il disco di esordio dei Guns N’ Roses. Sì, esplode e cambia i connotati di una scena musicale che era ben ancorata alla musica dei Mötley Crüe, Def Leppard ed affini; insomma, il cosiddetto hair metal. Ed ecco che le sonorità dello street metal diventano imperanti, attingendo al punk dei più reazionari Sex Pistols e al blues dei Rolling Stones.

Dodici tracce. Un mio amico ne possedeva una musicassetta, trovata in un mercatino per caso. Ma non aveva i soliti due lati A e B. No, aveva G e R. G di Guns, R di Roses. Il primo lato? Eccessi, disastri. Rock N’ Roll, in poche parole. Il secondo invece è una dedica al loro essere romantici.. ma non troppo eh. Fossero quasi due dischi diversi. Ma è forse questo il bello di girare la cassetta?

Non è di certo difficile per la band di Los Angeles parlare di temi aspri e dissoluti, ed It’s So Easy, scritta dal bassista, ne incarna il perfetto esempio. Incede come un treno, evitando ogni forma di equilibrio nella musica quanto nelle parole. Niente fronzoli, tanta voglia di trasgredire.

Continua ad incedere anche di notte questa nuova energia che fa pulsare il cuore degli anni ottanta, ed è proprio Nightrain a spingere sull’acceleratore e dare il trampolino alla vigorosa Out Ta Get Me. Il ritmo del disco sembra stabilizzarsi con questa traccia: sound potente, riff incastrati tra le chitarre di Izzy Stradlin e del carismatico Slash in perfetto stile hard rock, assoli arroganti. La batteria di Steven Adler ed il basso Duff McKagan? Una sezione ritmica semplice ed efficace, con tanto mordente punk.

Ma Mr. Brownstone, dalle sonorità vagamente funk e blues, allenta un po’ la presa ed il frontman Axl Rose lascia spazio alla spensieratezza di un cantato più melodico, come ad anticipare il clima del lato Roses, ormai ad una sola traccia di distanza.

Una chiusura squisitamente bluesy anticipa quel famosissimo intro di chitarra. Nato per caso a San Francisco davanti ad un drink dopo l’open act ai Jetboy, Paradise City diviene uno dei brani più celebri dei Guns N’ Roses. Suonato da migliaia di cover band e passata a tutto volume in chissà quante autoradio, il suo feeling energico e positivo ha forgiato migliaia di adolescenti.

Take me down to the paradise city

Where the grass is green and the girls are pretty

Take me home

Sì, l’hai cantato anche tu questo ritornello, forse nemmeno sapendo chi fossero: qui risiede il valore emblematico di “Appetite For Destruction“. E sono My Michelle e Think About You, con atmosfere ora malinconiche ora vigorose, a dare il giusto anticipo alla canzone forse più conosciuta dei cinque di Los Angeles – e senza alcun dubbio tra i più studiati dai chitarristi. Esattamente, sto parlando proprio della ballata Sweet Child O’ Mine, terzo singolo estratto dall’album ed unico brano della band a raggiungere la vetta della Billboard Hot 100. Segni particolari? Un assolo di chitarra firmato Slash che si estende per un minuto, entrato nel mito per ogni aspirante chitarrista.

Scorre la playlist ed è il turno di You’re Crazy. Adler non smette di martellare sulla campana del ride ed Axl canta a squarciagola investendo l’ascoltatore con una verve unica, il futuro marchio di fabbrica della band. Ed ancora Anything Goes con un coinvolgente scambio di assoli ed un personale uso della talkbox. Si conclude il lato Roses con la libidinosa Rocket Queen, venuta fuori dalla penna del frontman: romantica, dal sapore pop, ma sempre imbevuta di quella forza trainante caratteristica della band statunitense. Ah, andando a 2:12 del brano troverete un inserto forse estremo. Ma anche questo è rock.

Comprate il vinile, sfogliatene il libretto. Concedetevi il lusso di fermare la puntina e passare da Guns a Roses: non potrete farne più a meno.

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